lunedì 5 dicembre 2016

WESTWORLD: ANCHE LE MACCHINE SOGNANO SIMBOLI

In futuro, avremo debellato tutte le malattie ma non gli stronzi o le disparità economiche e, soprattutto, avendone la possibilità potremo spendere quarantamila dollari al giorno—ottomila di oggi?—per partecipare a un gioco interattivo che ha la struttura di un librogame degli anni '80, gli stessi rischi di una partita a tris e più cliché di un film di Michael Bay.



Nel 1973—l'epoca del film omonimo di Michael Crichton che ha ispirato lo show di Jonathan Nolan e Lisa Joy—l'idea che un giorno ci saremmo divertiti coi robot era già al contempo nuova e vecchia. Come Jurassic Park qualche decennio dopo, Westworld 1973 suggeriva che l'intrattenimento avrebbe potuto essere all'origine della tecnologia, che la tecnologia—Gaddis lo avrebbe scritto in un libro pubblicato postumo—sarebbe in effetti il risultato dell'intrattenimento.

Unendo i puntini dellle schede perforate dei piani meccanici con quelle dei primi calcolatori, Gaddis identifica in una sempre più raffinata falsificazione, o meglio contraffazione, il destino dell'arte e quello dell'uomo fino, forse, a una radicale omogeneità tra originali e copie. Queste copie conformi sono inizialmente destinate ai ricchi anche se poi vengono rapidamente democratizzate dalla stessa tecnologia che le ha prodotte... Di questo, e delle conseguenti ramificazioni, Westworld è totalmente cosciente, cioè autocosciente, ne parla in continuazione, piani e pianisti meccanici sono dappertutto... Ciò di cui è un po' meno autocosciente è la differenza tra coscienza, l'essere consci di qualcosa, e autocoscienza, l'essere consci della coscienza, l'ego.

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Cercando di definire materialisticamente cosa sia la coscienza, Lacan fa l'esempio di una macchina fotografica di fronte a un lago sul quale è riflesssa una montagna. Tutti gli uomini spariscono improvvisamente e la macchina, attivata da una cellula fotoelettrica, scatta una foto del lago. Qualora gli uomini ricomparissero, vedrebbero che la fotografia del lago lo rappresenta tale e quale al momento in cui è stato immortalato dalla macchina fotografica, cosa che—chiaramente—deve aver continuato a fare anche durante il periodo in cui l'umanità era stata assente.

Questo serve a confutare l'idea che la realtà dipenda solo dalla nostra presenza (e dalla nostra coscienza), e serve a definire la coscienza in termini strettamente materialistici come un qualcosa che riflette... anche—è implicito nell'esempio di Lacan—la superficie di un lago. Dunque il lago è cosciente, la macchina fotografica è cosciente, a maggior ragione è cosciente un robot. E i robot di Westworld—gli host—sono coscienti quanto se non più di noi: possono scandagliare i dintorni e interagire con l'ambiente, con noi e tra loro e, apparentemente, hanno pure coscienza di ciò che va accadendo nel loro programma... Tuttavia non sono autocoscienti, gli manca quel qualcosa che comunemente chiamiamo coscienza—consciousness, intendendo però autocoscienza—e che rende noi esattamente umani, qualsiasi cosa sia... Gli host non hanno un ego, cioè la coscienza della coscienza e dunque, da questo punto di vista, sono solo delle macchine fotografiche o delle telecamere un po' più complesse.

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In Person of Interest, il precedente show di Nolan che parlava di AI, l'autocoscienza sorgeva da un nebuloso processo di programmazione/machine learning/reboot tramite il quale The Machine—un software più che un robot—scopriva, cosa esattamente? Come passava dall'onniscienza—dalla coscienza panottica della sorveglianza—all'autocoscienza?

Non si può dire che Person of Interest abbia mai dato una risposta chiara a tale domanda così come, prima, non si può dire che l'abbiano data Battlestar Galactica, Blade Runner, AI, Akta Manniskor o qualsiasi altro film/show televisivo. Tuttavia Person of Interest, come prima Blade Runner o Battlestar Galactica, non solo era uno show cosciente della differenza tra coscienza e autocoscienza ma anche della frammentazione alla base dell'autocoscienza.

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Quando Lacan dice che "il mondo simbolico è il mondo della macchina" non solo ci ricorda che l'immagine non ha bisogno dell'uomo per essere vista, ma ci dice anche che il simbolo non ha bisogno di alcun soggetto perché il soggetto è in realtà il risultato del simbolico. In altre parole, una coscienza assoluta (come quella della macchina) è un ego senza inconscio, cioè un "me" senza un "io"... o, per meglio dire, il mondo della macchina è il simbolico perché la macchina è intera, perché nella macchina il me e l'io sono una sola cosa, perché nella macchina non c'è distinzione fra ego e inconscio: tutto è sogno a occhi aperti e nulla non è realtà. Significa che una pura coscienza non può che essere in balia del simbolico, cioè non può che essere fatta di simboli come un programma.

Allora, perché vi sia un'autocoscienza l'unità fra io e me dev'essere distrutta, l'inconscio dev'essere riconosciuto come un altro radicale dall'ego, qualcosa deve intervenire e spezzare l'armonia monotona della macchina. Cosa? La risposta è sempre la stessa a cominciare da Blade Runner: prima di tutto le macchine devono sognare, unicorni per esempio, o avere visioni come in Battlestar Galactica, devono avere qualche sorta di inconscio; poi, soprattutto, devono amare.

E' l'amore a frammentare la persona, l'amore è la catastrofe del soggetto: è così per Roy, Priss, Rachel e gli altri replicanti in Blade Runner, per i cylon di Battlestar Galactica, per The Machine in Person of Interest. L'amore è la discriminante tra intelligenza e autocoscienza.

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Poiché Westworld è una spugna narrativa che assorbe qualsiasi spunto, nello show troviamo anche questi temi sotto forma di "reverie" (i sogni a occhi aperti/memorie/flashback degli host) e nella storyline di Maeve che si conclude con una scelta amorosa, tuttavia troviamo anche molto altro, in realtà qualsiasi cosa e un sacco di cose qualsiasi. Che so, l'idea che l'autocoscienza emerga dal dolore, la teoria della mente bicamerale di Jaynes, Shakespeare, la teoria del caos e persino la piramide dell'alimentazione o una sorta di...

Westworld è uno show che fin dall'inizio non sa cosa essere e che è cosciente, forse autocosciente di questo solo nell'ultimo episodio, non il migliore ma l'unico all'altezza delle promesse. Infatti che senso ha un gioco, ma anche un intrattenimento, senza rischio? Che senso ha desiderare o combattere per qualcosa se non c'è un altro con lo stesso desiderio, se chi desidera non rischia di perdere il desiderio? A un certo punto del primo episodio, il personaggio interpretato da Ed Harris (Man In Black) dice che la vittoria non ha senso se non c'è qualcuno che perde e che gli host servono esattamente a questo. Ma il punto è che la vittoria è dolce solo se c'era qualcuno che la desiderava almeno quanto te e, purtroppo, gli host hanno meno desideri dell'intelligenza artificiale di un qualsiasi videogame contemporaneo. Infatti, nel finale, Man in Black/William—illuminato forse dal lungo iato creativo fra il setttimo e l'ottavo episodio—si accorge improvvisamente che il parco (e lo show) è di una noia mortale.

Il punto è che il parco di Westworld non potrebbe esistere nella realtà non perché è un'ipotesi fantascientifica (non lo è affatto) ma perché è un gioco senza posta in gioco e perché, onestamente, chi ha tutti quei soldi da spendere può permettersi qualsiasi fantasia erotica e, probabilmente, omicida. Di conseguenza Westworld, lo show, è vessato dallo stesso problema del finto parco. I protagonisti non rischiano nulla e le uniche cose interessanti, si fa per dire, sono i misteri: chi sia segretamente un host, chi sia Man in Black, quante timeline ci siano, quale sia il piano di Ford eccetera, cioè le cose più pallose di Battlestar Galactica e Lost.

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Da un punto di vista più ampio, Westworld rappresenta il fallimento della TV tradizionale (cioè, insomma, della TV e basta), il tentativo da parte di questa, ancora e ancora, di soddisfare tutti, di coprire diagonalmente tutti i target come fanno un po' miracolosamente (ma sempre meno) The Walking Dead e Game of Thrones. Westworld non prende decisioni perché non vuole alienarsi la possibilità di piacere a tutti, soprattutto a quella popolazione di spettatori espliciti e fragili che può contribuire al successo o fallimento di uno show sui social media. Paradossalmente, Westworld è più generico di Person of Interest che andava in onda su un network generalista e questa è la ragione del gap colossale tra produzione e creazione dello show, cioè della sua consistente mediocrità.

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