mercoledì 6 maggio 2015

MAD MEN: LA FANTASIA DEGLI SPAZI NON RIEMPITI

Questa stagione è piena di fantasmi, e non mi riferisco a quello di Bert Cooper che è forse la cosa più reale dell'ultimo episodio.

Come in Dubliners, i vivi e i morti convivono senza condividere l'unica cosa che li aveva accomunati, la geografia della vita. Gli uni sono i resti degli altri, o viceversa, e gli uni sono la mappa degli altri, o viceversa.



Dovrebbe essere impossibile parlare degli ultimi episodi e, se è possibile, è solo perché vogliamo sia così. Senza questo anelito, questa impossibilità possibile, parlare di Mad Men è inutile. Uno deve affrontare l'ostacolo di un testo impenetrabile per dire qualcosa.

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Se volessimo piegare una frase di Freud ai nostri scopi, dovremmo dire che Mad Men ci racconta le "vie errabonde che portano alla morte". Vuol dire che gli uomini sono un paradosso perché il nostro organismo è strutturato per morire (in modo tale da ricongiungersi a ciò che c'era prima della vita) e tuttavia ci opponiamo tenacemente ai pericoli che ci farebbero raggiungere quella condizione più velocemente. Vogliamo morire ma solo a modo nostro; ed è sempre meglio il nostro inferno del paradiso di qualcun altro.

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Jim Hobart è un personaggio interessante per dieci secondi, finché non manifesta un certo feticismo per le balene bianche. Il feticismo, però, non è una vera ossessione ma un'ossessione addomesticata, e Jim Hobart non è un cacciatore di balene ma solo un collezionista di uomini in camicia.

Come tutti i collezionisti, Hobart sa che il valore di una collezione non dipende solo dai pezzi che possiedi ma anche da quelli che non possiedono gli altri. E se Hobart fosse un collezionista d'arte, Don sarebbe il suo Hopper mentre Joan una crosta che vale cinquanta cent al dollaro. Hobart, però, è più simile a un collezionista di bastoni da passeggio o francobolli, la cui attività consiste essenzialmente nell'accumulazione compulsiva dello stesso oggetto. Hobart non è ossessionato ma monotematico e, probabilmente, pensa che basti comprare una cosa per possederla. La scena del briefing per Miller Beer — che, in pratica, è Metropolis secondo Weiner — lo contraddice su tutta la linea: Don è un francobollo che non si incolla facilmente all'album di McCann-Erickson.

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Secondo Bill Phillips, il ricercatore che informa la metà dei quattromila direttori creativi di McCann, più un uomo è generico più è specifico. Come la sociologia, il marketing e la pubblicità non si riferiscono all'uomo in quanto uomo ma alle cariche e ai ruoli che ricopre. Così, la descrizione di Phillips assomiglia molto a quella di Musil nell'uomo senza qualità:

L'abitante di un paese ha almeno nove caratteri: carattere professionale, carattere nazionale, carattere statale, carattere di classe, carattere geografico, carattere sessuale, carattere conscio, carattere inconscio, e forse anche privato, li riunisce tutti in sé, ma essi scompongono lui, ed egli non è che una piccola conca dilavata di quei rivoli, che v'entrano dentro e poi tornano a sgorgare fuori per riempire insieme ad altri ruscelletti una conca nuova. Perciò ogni abitante della terra ha ancora un decimo carattere, e questo altro non è se non la fantasia passiva degli spazi non riempiti; esso permette all'uomo tutte le cose meno una: prendere sul serio ciò che fanno i suoi altri nove caratteri e ciò che accade di loro; vale a dire, con altre parole, che gli vieta precisamente ciò che lo potrebbe riempire [corsivo mio].

Questa "libertà negativa" dell'uomo, Musil la chiama una "grande fantasia del non avvenuto o almeno del non irrevocabilmente avvenuto". Come dire che l'uomo è un paradosso perché è libero solo perché non lo è (può vivere solo perché deve morire?).

Allora, Dick Whitman non potrebbe essere la fantasia degli spazi non riempiti di Don Draper?

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Se Betty fosse Ida Bauer o, come la chiamò Freud, Dora, allora Joan sarebbe Bertha Pappenheim, cioè Anna O. Dopo essere stata curata da Breuer e Freud, oltre a rigettare la psicanalisi in blocco, Bertha divenne una femminista d'assalto, e Joan pare, finalmente, sulla buona strada.

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Una delle migliori definizioni del futuro non è di Freud ma di Lacan: ciò che sarò stato per ciò che sono sul punto d'essere. Può sembrare convoluta ma è anche quello che accade a tutti i personaggi di Mad Men, fermo restando il fatto che, essendo personaggi in una storia, il loro futuro è al contempo sul punto d'essere e già stato.

La cosa è vera soprattutto per Peggy che, presto, sarà stata il boss della propria agenzia e potrà intimidire gli uomini anche senza il polipo di Bert Cooper.

Il pomeriggio di Peggy alla SC&P è The Suitcase versione Sterling. Roger suona l'organo come il capitano Nemo e racconta storie di guerra mentre Peggy volteggia come Rollergirl per gli uffici vuoti. Alla fine, quando si presenta ubriaca negli uffici di McCann è un mix di Don Draper, Roger Sterling e Steve McQueen.

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Nel frattempo Don, dopo aver constatato che le finestre di McCann sono sigillate e lo show non può più finire con un uomo che si getta dal diciannovesimo piano, esce a metà della riunione per Miller Beer e volge a ovest per cercare Diana. Quello che trova, il marito di Diana, è qualcosa di completamente diverso dall'uomo generico che aveva descritto Bill Phillips: è l'orrore degli spazi non riempiti.

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Pull out. I primi quattro episodi si sono chiusi con lo stesso movimento di macchina, come una lunga esalazione. L'ultimo con la cinepresa che sale verso l'alto mentre è l'auto di Don che si allontana. Can you hear me, Major Don?

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Mad Men ended last season, now they're just messing with our feeling...

Per stare molto più sul materiale: il quadro di Peggy non vale una pensione? Pensare ad un Don normalizzato con la sua segretaria, questa segretaria, è fuori dal mondo? Che altra lettura dare a tanto spazio dato al loro interagire?

Jacob Kogan ha detto...

Chiaro, è un Hokusai!

Sinceramente non ho nessuna idea di come finirà Don, che poi credo sia l'idea di Weiner: alla fine diremo che era ovvio, ma in questo momento tutto è possibile, anche Meredith.

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