sabato 31 gennaio 2015

THE AMERICANS: ELIZABETH AND PHILIP GO TO HOLLYWOOD

La più grande vittoria delle pubbliche relazioni occidentali è stato farci credere che sia stato l'apparato delle relazioni pubbliche occidentali a far cadere il Muro di Berlino. La faccia di questa vittoria ideologica, che consiste nell'aver messo in scena una finta vittoria ideologica, è quella di un mediocre ex attore hollywoodiano il cui ruolo più famoso fu, negli anni '40, quello di testimone di fronte alla Commissione per le attività antiamericane.

Per quasi mezzo secolo, l'Unione Sovietica è stata la balena bianca degli americani, l'ossessione ideologica e militare degli Stati Uniti. Il narratore di questa storia, però, non si chiama Ishmael ma Edward Bernays e la storia non finisce con Moby Dick che si immerge nell'oceano ma con il capitano Alzheimer che dice di aver arpionato la balena anche se, molto più comodamente, la trovò un giorno spiaggiata sull'economia quinquennale.


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E' difficile dire se The Americans sia il seguito della propaganda anticomunista degli anni '80 o un superbo dramma familiare incapsulato in un dramma storico o entrambe le cose. Infatti, gli americani sono fin troppo carini in The Americans. Stan (Noah Emmerich) sembra il capitano Kirk invecchiato un po' meglio mentre Frank, il boss dell'FBI interpretato da Richard Thomas, pare uno di quei simpatici ammiragli della Federazione che si vedono solo nei messaggi subspaziali. Invece, tutti i russi sembrano Klingon (Lev, Claudia, Vasili) o pornostar (Philip, Nina) o pornostar Klingon (Elizabeth, Oleg); e anche se nei flashback l'Unione Sovietica non ha la fotografia cupa di Kronos, è rappresentata come un mondo alieno in cui si beve vodka, si mangiano gagh e vige la legge marziale.


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La differenza fra raccontare una storia e avere la consapevolezza di ciò che non si sta raccontando è la stessa che c'è fra The Americans e Mad Men.

Il fatto che gli scrittori di Mad Men abbiano sotto controllo la storia e, soprattutto, tutte quelle conseguenze della storia che vanno al di là della storia, non sminuisce però il valore di The Americans, che semplicemente racconta una bella storia inventandosi un po' di Storia.

Il punto, se c'è un punto, è che è inutile aspettarsi da parte di The Americans una profonda riflessione o una qualche apertura sulla Guerra Fredda o sugli esiti di questa. In The Americans, come in una canzone di Sting o in un video dei Frankie Goes to Hollywood, è tutto molto chiaro. O almeno, tutto tranne cosa fare per tenere in vita i matrimoni e crescere i figli con dei sani valori.


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Come tutti i genitori responsabili, Elizabeth e Philip vorrebbero che i figli, Henry e Paige, crescessero in un mondo migliore, e come tutti i genitori hanno qualche disaccordo sulla definizione di "mondo migliore": per Philip è uno senza spie, per Elizabeth è uno dove i figli diventano spie.

D'altra parte, e questo è sempre stato l'aspetto più interessante di The Americans, Philip è un realista, Elizabeth un'idealista. Philip sa che, per non sbroccare, una birra con Stan o una scopata con la formidabile Martha devono essere anche quello che sono, una birra con l'amico un po' depresso e una scopata con la moglie un po' lunatica; e questo perché, se vuoi preservare la tua umanità, devi vivere fino in fondo la finzione, come il colonnello Tigh in Battlestar Galactica quando scopre di essere un cylon ma continua a comportarsi testardamente come un essere umano, e riesce a esserlo.

Altrimenti non sei in un bel posto, cioè sei Elizabeth, il personaggio più complesso di The Americans, più sexy di una Bond girl e più letale di Number Six. Elizabeth è la dimostrazione che il vero tema di The Americans è il conflitto fra idealismo e realismo e non la Guerra Fredda, o, in alternativa, che la Guerra Fredda è l'immagine statica di una gara a chi ce l'ha più fungo che può essere presa sul serio solo da chi ne è totalmente coinvolto (proprio come Elizabeth) o da chi ne è totalmente escluso come, per esempio, i comunisti urbani occidentali.


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Il tipo di fanatismo di Elizabeth, che porta istintivamente la mano alla Makarov quando vede la figlia flirtare con un chierichetto, è quello di chi conserva la mente in una torre d'avorio, di chi protegge l'idea (o l'ideale) anche di fronte all'evidente fallacia. Più di Philip, e certamente più dei papaveri sovietici rappresentati nello show, Elizabeth conosce la differenza fra una società giusta e una ingiusta. Aiuta essere abituati a un solo genere di società ingiusta, quella americana, ma l'idealismo è anche una vocazione e Elizabeth lo abbraccia senza riserve: è molto raro, quando finge d'essere qualcun altro, che dimentichi veramente chi è.

Questo distacco consapevole, questa costante presenza a se stessa, è ciò che rende il personaggio di Elizabeth tragico, perché per lei, ma in fondo per chiunque, l'unico modo per essere idealisti è di vivere nella più profonda disillusione.


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Sarebbe bello se The Americans, come Birdman e Two Tribes, spingesse all'estremo la metafora del ruolo, se ci mostrasse fino in fondo cosa significa per la mente e per il fragile corpo recitare una parte, se trasformasse la Guerra Fredda in un lungo piano sequenza in cui gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica sono due vecchi corpi in cerca dell'antica gloria. In ogni caso, quello che fa, The Americans lo fa bene e, in fondo, tutte le balene bianche, sulla pagina, sono bianche.

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