giovedì 18 dicembre 2014

THE NEWSROOM: AARON SORKIN NELL'EPOCA DELL'INFORMAZIONE DIGITALE E DELLA DISSOLVENZA DELLA PRIVACY

Osservata nella sua interezza e da una distanza minimamente accettabile, cioè dopo il finale di serie, The Newsroom è una delle cose peggiori che Aaron Sorkin abbia mai scritto. La premessa di questo show che è andato in onda su HBO dal 2012 è fragile, persino inconsistente, e paternalistica: mostrare come gli organi di informazione avrebbero dovuto riportare le news degli ultimi anni, mettendo in scena la storia di un finto network (ACN) popolato di finti giornalisti che riportano però notizie di eventi realmente accaduti. La premessa di questa premessa è che l'informazione, soprattutto quella digitale, sia essenzialmente corrotta, che i giornalisti siano privi di alcuna deontologia professionale e che si stava meglio quando si stava peggio, cioè in una supposta età dell'oro del giornalismo: quando, presumibilmente, era uso comune accertarsi dei fatti prima di pubblicarli e quando ciò che non era di interesse pubblico veniva ignorato in nome della privacy. Insomma, quando il giornalismo era ruspante come in His Girl Friday di Howard Hawks (La signora del Venerdì) o in The Front Page di Billy Wilder (Prima Pagina). Non è un caso che questi due film, che poi sono lo stesso film, facciano parte del genere preferito da Sorkin, la screwball comedy, e risuonino ampiamente nei sottofondi di The Newsroom (che vorrebbe, tra le altre cose, essere una contemporanea screwball comedy).

La premessa ideologica di The Newsroom è facilmente confutabile perché non c'è mai stata un'età dell'oro del giornalismo nel senso idealistico di Sorkin. C'è stata, e questo è inconfutabile, un'età di strumenti limitati nelle mani dei giornalisti, un'età senza internet e dunque un'età meno ficcanaso. Tuttavia, posto che già in His Girl Friday e The Front Page la deontologia giornalistica è, con toni più o meno comici, messa largamente in discussione, per ricordarci che "tutto il tempo è paese" e che il giornalismo ha sempre avuto un lato oscuro basterebbe chiamare al banco dei testimoni qualche altro film dell'epoca, per esempio un altro di Billy Wilder, Ace in the Hole (L'asso nella manica) o Citizen Kane (Quarto Potere, Orson Welles) o il più sottile The Man Who Killed Liberty Valance (L'uomo che uccise Liberty Valance, John Ford). In Ace in the Hole, un giornalista in disgrazia, interpretato da Kirk Douglas, cospira con uno sceriffo e altri personaggi per ritardare il più possibile gli aiuti a un minatore imprigionato a causa di una frana. La sua idea, alquanto cinica e contemporanea, è di restare il più possibile sulle prime pagine dei giornali nazionali per rientrare nel giro delle grandi testate. Citizen Kane, a parte tutto il resto, è un saggio sulla manipolazione dell'opinione pubblica attraverso l'informazione. The Man Who Killed Liberty Valance è ambientato in un contesto semi-orale (la fine del Wild West) e, al di là di un certo ottimismo costruttivo, mostra il potere formidabile di una menzogna elevata a mito.

E' dunque ingenuo supporre come fa Sorkin che sia mai esistito un tempo in cui i giornalisti furono una sorta di paladini dell'informazione, devoti dei fatti e certosini dell'accertamento della verità. Sarebbe più giusto ammettere che la deontologia giornalistica, come qualsiasi altra, è sì un compendio di linee guida per esercitare onestamente e correttamente la professione, cioè un'ideale cui tendere, ma, soprattutto, è un sistema trascendentale di regole che ci assicura (a noi, al pubblico) una generica onestà e correttezza dei singoli giornalisti, fino a prova contraria. Che una prova contraria possa non arrivare mai è un fatto indimostrabile ma abbiamo accumulato abbastanza esperienze per sapere che i giornalisti senza deontologia non sono una rarità.

Così, può darsi che il più grande errore della premessa di The Newsroom non sia tanto la premessa in sé ma il fatto che l'idealismo di questa (che, certamente, permea tutta l'opera televisiva di Sorkin) sia proprio la premessa invece di essere il fine cui aspirano i personaggi. I personaggi di The Newsroom, infatti, non sono idealisti che si confrontano con il lato oscuro della professione giornalistica ma nostalgici che si guardano alle spalle e si ispirano a un passato che non è mai esistito, neanche quando non c'era internet, un passato che è solo una costruzione teorica. E' vero, il giornalista perfetto non è quello che dà la notizia prima di tutti ma quello che dà la notizia "vera" prima di tutti (le virgolette per ovvie ragioni), tuttavia il giornalismo (tranne quello investigativo) è sempre stato un processo che avanza pubblicamente dall'indeterminatezza verso l'accuratezza (che non è mai la vera e propria verità), non il resoconto di verità eterne e inconfutabili e neppure quello di "verità" storiche. Il fatto che la televisione e poi internet abbiano esarcebato questo processo fino al punto da rendere l'indeterminatezza (secondo le prime notizie, i primi fatti, le voci di corridoio, a quanto pare, ecc.) un vero e proprio caos dal quale è poi difficile uscire e che rischia di essere permanente, significa che Sorkin non è uno scrittore matto che si lancia contro i mulini a vento quando attacca il giornalismo e, soprattutto, il giornalismo digitale (blogger, citizen journalism, ecc.). Il problema semmai è che affrontare quel caos appellandosi agli "antichi" valori è come agitarsi invano nelle sabbie mobili; e non vedere il giornalismo per quello che è sempre stato significa ignorare che il giornalismo televisivo e internet sono il sequel del giornalismo cartaceo: non tanto nuovi nemici che stanno sotterrando una sana e nobile pratica quanto mezzi più potenti nelle mani degli stessi praticanti. Sorkin e i suoi personaggi dovrebbero anche sapere che dopo internet tutti, professionisti e non, cercano di posizionarsi nel punto più alto della propria mediocrità. E' una caratteristica, fra l'altro pervasiva, del medium, è il suo messaggio se volete; e per quanto p.e. il "citizen journalism" possa davvero raggiungere le bassezze che i protagonisti di The Newsroom aborriscono, nessuno può prescindere dalla sua esistenza, così come nessuno può prescindere dall'aberrazione di una notizia offerta solo in un contesto ideologico come fanno molte news professionali.

Invece, questo è proprio ciò che accade nello show: i personaggi prescindono continuamente dal resto del mondo procedendo come automi lungo un sentiero che li porta a commettere, paradossalmente, gli stessi peccati che denunciano dall'alto dei loro piedistalli. Per esempio, l'operazione "Genoa" della seconda stagione, uno dei pochi casi fittizi di cui si occupa l'ACN, è un disastro giornalistico che culmina con la scoperta — ma solo dopo che la notizia è già andata in onda — che la storia è falsa. Poiché il personaggio che ha portato la storia alla redazione è estraneo al nucleo "etico" dello show (è un personaggio che si aggiunge al gruppo principale proprio nella seconda stagione) e poiché alla fine sono i nostri eroi a scoprire tutto l'inghippo, dovremmo pensare che gli ideali dei protagonisti siano ancora intatti di fronte a quella che, di fatto, è una cospirazione solo ai danni dell'ACN. Allo stesso modo, dovremmo pensare che gli ideali dei protagonisti siano ancora intatti anche di fronte all'altra storia fittizia che si svolge nella terza stagione, quella delle interferenze americane nell'immaginario Kundu Equatoriale. In questo caso la notizia è vera ma non finisce mai in onda perché, nonostante l'interesse pubblico, i personaggi vengono censurati dal governo. Non si capisce bene se Sorkin voglia commentare le note pressioni del governo americano sulla stampa o, come nel caso "Genoa", se tutta la storia non sia altro che un'ulteriore pagina della sua agenda poetica. In ogni caso, anche qui i personaggi ne escono in qualche modo puliti perché, pur opponendosi alla legge, la rispettano, cioè combattono il principio senza trasgredire la norma, e perché difendendo la fonte della notizia a costo di pagare in prima persona dimostrano un'altra volta una indiscutibile integrità.

E' come dire che nella poetica di Sorkin, indipendentemente da internet, dare una notizia al di là di ciò che è stato irrevocabilmente dimostrato è impossibile, che nessuna notizia può prescindere dalle prove inconfutabili della sua incontrovertibilità, che non si può dire che "pare" o "sembra", che non ci si può fidare p.e. di migliaia di foto o video che "appaiono" contemporaneamente sui social media in seguito a un evento, che non si può descrivere ciò che sta accadendo quando non si conoscono esattamente le cause o le ragioni o i dettagli... Così, perseguendo un'inflessibile deontologia, i protagonisti di The Newsroom finiscono per pubblicare una notizia falsa invece di quella vera (Genoa invece del Kundu Equatoriale), indugiano nel dare la notizia (qualsiasi notizia) delle bombe alla Boston Marathon perché, boh, forse non è certo che il fumo che si vede nelle foto su Twitter — o nei servizi delle altre news — non sia un fotomontaggio, e tutta un'altra serie di fallimenti giornalistici (fra cui un pessimo report fittizio su uno stupro universitario nel penultimo episodio) che, probabilmente, almeno secondo Sorkin, vanno imputati a come è fatto il mondo, non a come lavorano i suoi personaggi.

L'ironia è che anche se la strategia narrativa di Sorkin è chiaramente inefficace, alcuni dei recenti eventi (p.e. tutta la storia, vera purtroppo, del falso report di uno stupro universitario da parte di Rolling Stone) gli danno ragione almeno del fatto d'aver toccato qualche nervo scoperto, in particolare quello che attraversa l'interesse pubblico e il diritto alla privacy e che si è ultimamente infiammato in seguito al leak Sony. Lo stesso Sorkin ne ha parlato in un articolo sul NYT, dicendo (con meno compiacimento, però) quello che avrebbe detto uno qualsiasi dei suoi personaggi meglio di qualsiasi suo personaggio: imbattersi nella privacy altrui non è una scusa sufficiente per divulgarla. E' un principio, questo, che vale sia per la privacy degli individui sia per quella delle istituzioni o di qualsiasi altra entità (commerciale, politica, ecc.). Il leak Sony è un caso interessante perché offre informazioni che riguardano sia contenuti individuali sia contenuti "aziendali" e sia contenuti di natura privata sia contenuti di interesse pubblico, e in più offre un dilemma etico perché potrebbe essere un'operazione (riuscita) orchestrata dalla Corea del Nord per convincere la Sony a ritirare un film con James Franco e Seth Rogen, The Interview, in cui viene deriso Kim-Jong-Un, cioè un atto (e ricatto) terroristico.

E allora, sono d'interesse pubblico — visto che alla resa dei conti si tratta di questo — le email private diffuse dal leak? E' d'interesse pubblico che Joel McHale (uno dei protagonisti di Community) abbia chiesto uno sconto su un televisore? Sono d'interesse pubblico i commenti ruvidi di Amy Pascal, il presidente di Sony, nei confronti di Angelina Jolie? O i toni razzisti nelle sue email? E, nel caso, è giusto diffondere questi "fatti immateriali", queste opinioni, senza averli accertati? Cioè senza aver accertato che siano validi anche al di là del contesto? Le opinioni private, o addirittura la semplice espressione privata del proprio carattere attraverso p.e. lo scatenamento di idiosincrasie linguistiche, sarebbero fatti accertati per il solo fatto di essere stati rivelati da una sorta di telecamera nascosta? Adesso, tutto ciò che viene rubato da un occhio o da un orecchio indiscreto è necessariamente vero? E anche quando la notizia è di indubbio interesse pubblico (come la "cospirazione" di Sony e delle altre major cinematografiche contro Google/Goliath), è giusto renderla pubblica se la rivelazione proviene da una fonte che agisce presumibilmente con fini terroristici e di cui, fa ridere ma è così, non si conosce affatto la "legittimità" nonostante il (per ora) surreale supporto del governo nordcoreano?

The Newsroom avrebbe potuto approfondire queste e molte altre domande, invece ha portato avanti una campagna contro un fantasmatico cattivo giornalismo che non c'è se non nella forma immaginata da Sorkin. Ciò non significa che non esista un cattivo giornalismo o che internet non sia un ricettacolo di gossip, false notizie, informazioni imprecise se non inventate di sana pianta, opinioni ignoranti e leggende urbane proprio come Sorkin pensa; significa che le convinzioni dei personaggi di Sorkin sono semplicistiche, superficiali e, soprattutto, che i personaggi sono poco empatici, come se tutto ciò che accade, anche su internet, dipendesse da meccanismi dei quali gli esseri umani sono solo ingranaggi inconsapevoli.

Il problema, forse, è che i personaggi di The Newsroom sono i protagonisti di un esperimento impossibile, un mondo in cui l'etica, la deontologia, conta più delle copie vendute o dei click, conta più persino dell'atto di dare la notizia, qualsiasi essa sia e qualsiasi sia la fonte. I giornalisti "veri" sanno bene che non è così e siccome hanno un'etica flessibile ma ci tengono veramente alla loro estetica, hanno un sacco di argomenti per giustificare la folta peluria sullo stomaco. Quasi ogni giornale, spesso tramite i giornalisti che si occupano di spettacolo, si è sentito in dovere di spiegare perché ha diffuso i leak Sony, scusandosi (talvolta e talvolta ipocritamente) per aver riportato scambi di email private o facendo salti mortali per trasformare in interesse pubblico ciò che difficilmente lo è.

La scena più bella di The Newsroom, tanto per ricordarci che Sorkin può essere efficace anche quando non è al massimo della forma, parla esattamente di questo e mostra uno dei personaggi, Maggie, interpretata da Alison Pill, che ascolta per caso una conversazione telefonica del vice presidente dell'EPA (Enviromental Protection Agency) il quale, in sintesi, dice che siamo spacciati. Come dirà in una intervista successiva, avremmo dovuto svegliarci vent'anni fa se avessimo voluto salvare l'ambiente, cioè il mondo e noi stessi: adesso possiamo solo limitare i danni post apocalisse. Maggie, come farebbe qualsiasi giornalista, decide inizialmente di riportare la notizia ma poco dopo cambia idea a causa di quello che potremmo chiamare un "attacco di deontologia acuta". Il vice presidente dell'EPA è talmente sorpreso dalla cosa che decide di passarle sotto banco l'ultimo rapporto sulle emissioni di CO2 e di concederle un'intervista. Tutta la scena è abbastanza divertente e intelligente, in particolare quando i ruoli di giornalista e fonte si invertono ed è il membro dell'EPA che deve insistere per dare a Maggie la notizia. Tuttavia la scena è anche profondamente ridicola perché mostra che o Maggie è una sciocca perché rinuncia a dare una notizia di indiscutibile interesse pubblico o è una sciocca perché non è personalmente interessata al riscaldamento globale, o non saprei dire cos'è se pensasse che, in fondo, il riscaldamento globale non interessa a nessuno... In ogni caso, qui Sorkin sembra ignorare la questione fondamentale che è anche la questione fondamentale del leak Sony e di ogni leak, cioè il fatto che l'interesse pubblico è difficilmente separabile dall'interesse del pubblico.

Il leak Sony è in linea di principio analogo al leak del fittizio membro dell'EPA di Sorkin, con l'unica differenza che offre informazioni in cui l'interesse pubblico e l'interesse del pubblico continuano a trovare punti di contatto. E' vero che l'email di Joel McHale in cui chiede lo sconto per un televisore 4K è solo gossip, cioè interesse del pubblico, ma è anche vero questo tipo di notizia è, per un certo tipo di testata giornalistica, d'interesse pubblico. Allo stesso modo, è vero che certi toni razzisti nelle email di Amy Pascal potrebbero essere d'interesse pubblico, vista la preminenza di Sony nel mercato dell'intrattenimento, ma è anche vero che le email di Amy Pascal rientrano nell'interesse del pubblico in quanto ci mostrano quello che avviene dietro le quinte di una grande major cinematografica, cioè in quanto gossip. Insomma, come è possibile dividere le due cose, l'interesse pubblico dall'interesse del pubblico o, ancor più, dall'interesse del particolare pubblico di ogni testata? Chi deciderà cosa è d'interesse pubblico e cosa non lo è? Una volta che qualcosa è diventato pubblico, chi deciderà che, nonostante la pubblicità, quel qualcosa dovrà essere mantenuto privato? Chi detiene questo potere discrezionale?

Di nuovo, The Newsroom non affronta direttamente queste domande perché ha già tutte le risposte pronte quando, invece, non c'è nessuna risposta a qualcosa che rompe il tessuto stesso della deontologia giornalistica, cioè la diffusione sregolata di informazioni da parte di, beh, chiunque ne abbia il potere. Riportare o non riportare queste informazioni è un dilemma che non esiste perché, come dimostra proprio il leak Sony, ogni leak si diffonde da solo e, soprattutto, travalica se stesso visto che può rivelarsi, che so, la pagina di un'agenda politica che, per ora, ci sfugge, o può essere strumentalizzato da chiunque per qualsiasi ragione o, come se non bastasse, ha un potenziale terroristico che viene messo a disposizione di chiunque sappia come sfruttare l'informazione dopo che è stata estratta dalla cassaforte nella quale era custodita. Indipendentemente dal fatto che venga confermato il coinvolgimento della Corea del Nord, il leak Sony suggerisce svariati scenari, ciascuno dei quali è altrettanto inquietante perché dimostra la forza dirompente di una informazione non filtrata, grezza, decontestualizzata, mitizzata. E' qui che anche il giornalismo reale fallisce, tranne in quei rari casi in cui le informazioni vengono selezionate da un preciso individuo e offerte a un preciso individuo come nel caso di Snowden e Glenn Greenwald, cioè quando l'interesse pubblico viene fin dall'inizio protetto dall'interesse, vorace, del pubblico.

Di fronte al leak Sony, in uno stallo etico che dipende dall'anacronismo delle loro convinzioni, i personaggi di The Newsroom probabilmente avrebbero passato giorni a chiedersi se era il caso o meno di partecipare al festino mediatico. Non avrebbero fatto una bella figura, ma neanche i giornalisti reali l'hanno fatta, o la maggior parte di questi. Invece di cercare di filtrare e contestualizzare le informazioni che via via sono arrivate, invece di cercare di cogliere il grande disegno dietro al leak e il grande disegno di una società devota a qualsiasi forma di terrorismo, compreso da adesso in poi quello dell'informazione, hanno abboccato all'esca della notizia facile, già surriscaldata, offerta su un piatto d'argento, da chiunque sia stato, per qualunque ragione.

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