domenica 16 marzo 2014

TRUE DETECTIVE, FORSE

True Detective è lo show scritto da un tizio che fino a ieri era nessuno mentre oggi pare Dio sceso in Terra, Nic Pizzolatto. Tutti adoriamo i profeti, di qualsiasi origine e natura, e quando Pizzolatto ha aperto bocca scommetto che vi siete attaccati alle sue labbra e avete detto: grazie, amico, finalmente qualcuno parla una lingua con un tasso di sacralità superiore al niente. Manco David Chase è stato tanto osannato. Cioè sì, ma come drammaturgo, non come filosofo; come scrittore, non come oratore.

L'ultima volta che ciò è accaduto, cioè che uno Zarathustra scendesse fra noi, è stato un bel po' d'anni fa, e si chiamava David Lynch, un tizio che se parla con una cinepresa ci mette ancora in ginocchio e ci fa sollevare le braccia al cielo (e lui, giustamente, manco vorrebbe).

E' forse per questa ragione che True Detective è stato da molti associato a Twin Peaks, perché entrambi si sono offerti come discorsi più che come storie, oltre al fatto che entrambi gli show hanno un protagonista un po' picchiato—in fondo Cohle non è altro che un Cooper senza ironia (un buddhista nichilista?)—un antagonista soprannaturale e l'ambizione di non dare alcuna soluzione al bizzarro "caso della settimana". So bene che Pizzolatto ha negato qualsiasi influenza soprannaturale e ha detto che è tutto reale ma, tanto per cominciare, le sue interviste sono parte del problema, e poi il serial killer Childress (Childless?) sarà reale quanto volete ma lo è solo grazie al lavoro soprannaturale della scrittura, alla magia della citazione, al trucco della scenografia, al makeup hillibilly del Conte Dracula della Louisiana...

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Nel 1991, l'ABC inviò il suo Titanic Twin Peaks dritto sparato contro un iceberg. I dirigenti di allora pensavano che il pubblico avrebbe perso interesse se il mistero della morte di Laura Palmer non fosse stato risolto al più presto. Ovviamente Lynch e il compare Frost sapevano esattamente ciò che avevano tra le mani e si opposero, invano. Risultato: una fitta nebbia scese sulla televisione e Twin Peaks, boom, si scontrò con un Everest oceanico e affondò diventando uno degli show col rating più basso dopo essere stato uno di quelli col rating più alto. Tuttavia, vi prego, non biasimate quel dirigente che decise di dare il colpo al timone, non era né uno stupido né un incompetente. Come Lynch e Frost era un precursore, un'avanguardia di ciò che sarebbe stata la televisione, ovvero un laboratorio per la finalizzazione di esperimenti ripetibili. Per forza l'omicidio di Laura Palmer andava risolto, perché era l'unico modo per soddisfare tutti, anche i futuri insoddisfatti, per sempre.

Che si possa... che bisogna finire è una cosa che Pizzolatto sa benissimo e, infatti, a differenza di Lynch sapeva ancor prima di cominciare che avrebbe chiuso la partita, cioè che avrebbe risolto il "caso della settimana". Mentre Lynch e Frost (che proveniva, non a caso, da Hill Street Blues) vollero provare la TV infinita, e la TV infinita nella TV infinita (Invitation to Love), e un sacco di altre cose che adesso fanno tutti; Pizzolatto si limita a usare i meccanismi e la struttura di Twin Peaks per ravvivare un canone che sta al suo tramonto. Twin Peaks fu un'epifania, True Detective è un gioco di prestigio.

E poiché è un gioco di prestigio sul palco dell'ecumene televisivo, è inevitabile che mi senta subito in colpa per averlo detto, per l'ardire di mettere in dubbio ciò che i sacerdoti e i credenti sostengono da qualche mese, cioè che True Detective è un capolavoro.

Ma guardate la mano di quel gran scrittore di Pizzolatto, l'altra mano dico, quella con cui disegna le interviste mentre con l'altra nasconde tutti gli assi di cuori. Per esempio: il mio show non è soprannaturale, dice. Non dice: c'è una spiegazione scientifica a ogni fenomeno apparentemente soprannaturale nello show; perché questo sarebbe svelare il trucco, che c'è un trucco. E se guardi bene, di trucchi è pieno, di cose "lostiane", misteri, presagi e profezie, disegnini inquietanti, castelli sotterranei, vortici interstellari e un male antico, antichissimo, remoto, la cui malvagità, fra l'altro, è un altro prestigio, un riferimento letterario a una raccolta di racconti scritta da Robert W. Chambers nel 1895: cosa c'è di più soprannaturale (e lostiano) del riferimento culturale?

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La TV x.0 (3.0? 4.0? A quale "release" siamo arrivati?) non ti dà più solo l'opera ma anche il significato dell'opera, l'input dell'interpretazione, che adesso si chiama "intervista agli autori". La speranza del silenzio, che chi scrive stia zitto o magari ci parli solo della sua vita lasciando che l'opera attraversi la nostra sensibilità e la nostra cultura è vana. Se Pizzolatto dice che la sua opera non è finita, che il mistero in realtà non è risolto, tutti dietro, perché in effetti la circolarità del giallo classico viene meno (qui il bell'articolo di Andrea Morstabilini che non è l'unico in cui si legge questo ma, almeno, è uno dei pochi in cui si legge molto altro); se Pizzolatto dice che Marty in fondo ha un cuore d'oro, perché no?

Se True Detective è rivoluzionario lo è forse perché il primo show che arriva non solo con un marketing ma con una "inception" critica, è lo show con l'acchito dell'interpretazione.

Qualcuno se n'è accorto subito, come Emily Nussbaum che ha scritto di conseguenza; altri ci sono arrivati per eterogenesi dei fini, cavalcando l'onda della "critica di genere" (intendo maschile/femminile) che comunque è un calvario che nessuno, nessunissimo show, purtroppo, può evitare. Tuttavia, per una volta, la critica di genere è stata un cavallo di Troia—anche un regalo a Pizzolatto, cioè un assist per la sua risposta probabilmente già pronta da mesi, che le donne nello show sono come sono perché viste dal punto di vista di due maschi—ma prima di tutto un cavallo di Troia col quale possiamo entrare all'interno delle mura innalzate intorno allo show, ovvero tutte quelle "ipotesi ad hoc" che si leggono nelle interviste.

E, una volta dentro, puoi fare due cose: fai finta di non vedere (cosa che ci sta: perché "rovinare" qualcosa che mi ha divertito?) o cominci a farti delle domande e ti dai delle risposte come fa p.e. Lili Loofbourow che arriva alla conclusione che True Detective potrebbe essere un pezzo di genere hard-boiled o un thriller, ma manco quelli. Infatti a Loofbourow viene il dubbio che il vero mostro sia (questa volta per eterogenesi dei mezzi più che dei fini) Marty e che il maschio che guardasse lo show, ipnotizzato da discorsi collaterali, da sei minuti di parapiglia urbano e dal mostro camp alla fine del tunnel, non sia nemmeno in grado di accorgersene.

Io andrei anche oltre, perché mi viene in mente Veronica Mars, il cui film appena uscito è come l'ultimo pasticcino fra gli avanzi del festone di ieri notte ma le tre stagioni che andarono in onda nel 2004-2007 (o almeno la prima) sono, a pensarci bene, il vero True Detective. Se vi chiedete come sia possibile che una ragazzina del liceo interpretata da una vapida biondina possa lasciarsi alle spalle un macho nichilista che ha i nervi tesi e la voce calma di Matthew McConaughey, o non avete visto con attenzione Veronica Mars o lo avete scambiato per un teen drama. Invece, come Buffy, Veronica Mars è solo uno show travestito da teen drama che, nel frattempo, riflette, decostruisce, rivoluziona, in questo caso il genere hard boiled, e il machismo e il maschilismo di cui il genere è impregnato.

Lo strapotere dei dilemmi del maschio bianco (generalmente colto) anglosassone è un progetto culturale della HBO abbracciato da molti altri network (AMC su tutti) e interrotto di tanto in tanto da leggiadre volute femminili (Sex and the City, Weeds, Girls, Orange is the New Black). Non è che fra quella che sembra essere una prerogativa solo maschile, cioè la lotta fra male e bene e derivati, non spuntino personaggi femminili con un certo spessore e carisma, è che, con rare eccezioni, sono sempre rappresentati dalla prospettiva dei personaggi maschili, tanto che la risposta di Pizzolatto sui suoi personaggi femminili può valere universalmente anche per i drammi che lo precedono.

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Ci sono svariati articoli che condannano l'incapacità della TV contemporanea di creare e sostenere grandi personaggi femminili. Anche se quegli articoli sembrano sul pezzo, sono generici, persino astratti, perché sovrappongono un problema politico e sociale a una fallacia creativa. Non esiste la parità dei sessi nell'equilibrio di una storia perché ogni storia è la storia che è. Né società assai più maschili (e maschiliste) hanno mai impedito ai loro artisti di mettere in scena magnifiche donne. Il problema, come anche nota Lili Loofbourow, sta nella pretesa di raccontare una storia diversa da quella che poi si racconta, nel venderti qualcosa di diverso da ciò che infine comprerai e persino nel convincerti che hai comprato esattamente ciò che volevano venderti; come uno che avesse acquistato dello spago per filo interdentale e, ostinato, lo usasse tutte le sere per combattere l'insalatina interstiziale.

Come tutti i prodotti con altissimo valore produttivo, è facile vendere True Detective come l'ennesimo "più grande" show della storia ma non dobbiamo berci per forza questa confezione. Veronica Mars, pur rispettando la circolarità del giallo, non evita mai la sfuggente identità, cioè l'incompiutezza, della protagonista (nel film la cosa è, a un certo punto, pedantemente sottolineata) e le sue strategie non proprio eroiche per adattarsi a una società (e a un genere letterario) maschili. Quello show non tocca mai gli apici cinematici di True Detective eppure abbraccia con completa onestà e spirito hard boiled il suo personaggio e, infatti, non ha bisogno di giustificare nulla né, soprattutto, di titillare la critica o lo spettatore con strumenti che, alla resa dei conti, sono solo formali. Nel corso della prima stagione, Veronica attraversa l'orrore della morte della migliore amica e lo fa con una leggerezza e ironia che rendono il viaggio solo apparentemente leggero, in realtà pienamente drammatico: come Buffy, Veronica Mars è un personaggio in rivolta, non ultimo, come ho già detto, contro il suo genere letterario, e non ha bisogno di citare Chambers o Lovecraft o Conrad o Psycho o l'Olocausto per aprire le porte dell'Inferno, anche se l'Inferno magari è solo la high school locale o la tipica piccola comunità nevrotica in cui le due "eroine" vivono.

True Detective fa un sacco di "discorsi da adulti" ma alla resa dei conti non è altro che un buddy cop movie. E se True Detective è solo un buddy cop movie, ad alto tasso di filosofia e testosterone, basta saperlo, così quando alla fine i due amiconi si scambiano una pacca sulla spalla sotto alle stelle possiamo dire che questo è uno dei migliori buddy cop movie di sempre e non ci troviamo invischiati a ragionare sulla rivoluzione di genere (narrativo) che non c'è mai stata o sulle mille ipotesi che ci fanno mettere in dubbio di aver capito il finale.

Pizzolatto è un gran scrittore e True Detective è buona televisione, niente meno niente più.

1 commenti:

Anonimo ha detto...

Su True Detective ho scritto qualcosa anch'io, ma dopo aver letto questo quasi mi sento in imbarazzo.
Mi ha colpito la riflessione su Veronica Mars. Ho visto la serie anni fa e mi piacque molto, ma allora non avevo le skill per comprendere la ribellione al canone del personaggio. Complimenti per il pezzo.

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