sabato 15 marzo 2014

ESPLORANDO I LIMITI DEL RACCONTARE: NARRATIVE TECNOLOGICHE

Originariamente questo articolo è apparso su Serialmente il 15 Marzo 2014.

L'episodio Parallel Construction, Bitches di The Good Wife è soltanto l'ultimo di una serie di episodi estremamente raffinati di uno show che, probabilmente, in questo momento fa meglio di qualsiasi altro in televisione. No, non è True Detective con la sua seducente estetica gotica e i suoi temi lovecraftiani, non ha attori come Harrelson o il superbo McConaugehy; non è neanche il formale Mad Men (che tornerà il 14 Aprile) né qualcosa come Breaking Bad o The Sopranos. Quello che voglio dire è che non è uno show di HBO o di una cable television, ovvero non è quel "genere" di show, e infatti va in onda su CBS, un network generalmente criticato per la programmazione popolare nel senso negativo del termine; e comunque non è uno show di CBS in quel senso e, forse, in alcun senso. Infatti ci vorrebbe una mezz'ora per spiegare esattamente cos'è, oppure uno potrebbe guardarsi l'episodio di ieri, Parallel Construction, Bitches, accanto a un amico che conosce la storia pregressa di The Good Wife, così come Alicia guarda lo show nello show rappresentato nell'episodio insieme alla figlia Grace che conosce tutti i retroscena dello show nello show...

Okay, questa storia dello show nello show, e poi dei due geek dell'NSA che ascoltano le telefonate di Alicia, Will, Diane & Co., è in pratica una satira molto divertente del pubblico di The Good Wife, cioè noi, e del gossip che si origina a partire dagli orditi e dalle trame della storia (grandissimo il geek che vede del tenero fra Will e Diane), ma fosse solo per questa sortita metanarrativa Parallel Construction, Bitches sarebbe soltanto un buon episodio (e molto divertente); ciò che invece va a toccare è molto più profondo e interessante.

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La narrativa tecnologica funziona in maniera molto diversa da quella tradizionale, anche televisiva. E' un argomento che ha poca risonanza perché, parlando per esempio di social network o blog, l'attenzione è sempre concentrata sul comunicare e non sul raccontare, e perché, soprattutto sui social network, si è complici di una narrazione collettiva fatta di flaccido erotismo, risentimento e orgoglio. In altre parole, ci si prova, ci si lamenta delle ingiustizie e si abbracciano dalla propria scrivania nobili cause (o si finge di farlo), mentre si fanno tutti gli sforzi possibili per "comunicare", una parola che indica semplicemente l'atto nervoso dell'esprimersi modernamente.

Tuttavia, sotto a questa superficiale marea di parole emergono pian piano narrazioni, inevitabilmente frammentarie, che potrebbero somigliare molto ai previously degli episodi televisivi o ai versetti di una Bibbia rapsodica e certamente apocrifa. Se l'autobiografia, come aveva intuito de Chateaubriand, è l'unica ulteriore forma di romanzo possibile, alla fine della storia del romanzo (un'espressione che può essere intesa solo nel suo senso più ironico e approssimativo), i luoghi come Twitter e Facebook danno sfogo all'ultimo romanzo possibile: l'autobiografia collettiva dell'umanità.

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Dopo il romanzo rimane solo la vita, non la vita vissuta ma quella possibile, quella "costruzione parallela" che vediamo per esempio scorrere su Twitter e che è la vita di cui ciascuno è protagonista, regista e, soprattutto, montatore; e che è anche quell'altra vita parallela al flusso di tutte le vite con cui ciascuno sceglie di mescolarsi: un'entità chiamata "timeline".

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Come la conversazione telefonica, quella digitale implica un certo sincronismo: dobbiamo supporre che l'altro a cui raccontiamo la nostra storia sia presente. A differenza del telefono, però, la narrazione digitale non ha bisogno che l'altro sia attualmente lì dall'altra parte perché essa può avvenire anche in differita, anzi è forse fondamentale che avvenga in differita, in virtù del fatto che è la pura e semplice possibilità che qualcuno ci legga a liberare la pulsione biografica, cioè l'investimento di se stessi in quel capitale oggi preziosissimo che è la reputazione.

Che l'essere letti avvenga oggi, domani, fra un anno o fra dieci non importa, prima o poi accadrà, e comunque la maggior parte degli uomini del passato non ha avuto manco un lettore; oggi una ventina di follower non si negano a nessuno.

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Ora, il titolo Parallel Construction, Bitches, si riferisce specificamente alla pratica investigativa che consente a un determinato dipartimento investigativo di usare prove raccolte da un altro dipartimento durante un'indagine non direttamente correlata alla prima. Per esempio, nell'episodio di The Good Wife, la DEA utilizza informazioni che l'NSA raccoglie nel corso dell'indagine su un cliente di Alicia (presunto terrorista) per incastrare un altro cliente di Alicia, il boss della droga Lemond Bishop. Visto che qui siamo tutti o quasi espertoni di giurisprudenza anglosassone, o almeno di legal drama, è inutile che vi dica quanto la pratica della "parallel construction" sia al limite della legge.

La logica della cosa, che non suona affatto bene, sarebbe questa: le prove che provengono da un'indagine diversa da quella in corso non possono essere usate come prove ma possono essere usate per produrre nuove prove. No, non suona bene, e infatti la questione è dibattuta, anche se la "parallel construction" (come sappiamo da anni e anni di televisione) non è cosa nuova. La cosa nuova è che nel 2013 la Reuters ha rivelato l'esistenza di un documento della DEA che ne incoraggia l'uso e, d'altra parte, la cosa nuova che rende questa pratica del tutto inaccettabile è il fatto che se un governo può controllare tutti (p.e. via NSA), la "parallel construction" può diventare uno strumento per riscrivere la biografia di chiunque.

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Allora, si vede bene che non sono né la regia né l'interpretazione né la vivente sceneggiatura di ciascuno i ruoli fondamentali nella storia dell'io, ma come ho sottolineato poco fa il montaggio. E' attraverso il montaggio che l'NSA ci narra la storia contemporanea, mettendo insieme i frammenti delle "vite degli altri", le nostre, che noi stessi offriamo già frammentate in tweet, sms, post di Facebook o blog, link, password, metadata, informazioni più o meno critiche e così via.

I due geek dell'NSA, come noi, rimettono insieme i frammenti con l'innocenza di quel bambino che è lo spettatore televisivo, ipotizzano, congetturano e si lasciano andare a svariate illazioni più o meno campate in aria. E' divertente, ehi, siamo noi, no? Divertente forse, senza dubbio inquietante: è divertente, è una finzione, Alicia e Will non sono veri, ma, a parte il fatto altrettanto inquietante che i due geek alla fine si lavano burocraticamente le mani delle conseguenze della loro pratica, anche l'NSA ha una certa propensione per la finzione e questa è l'inquietante realtà non uno show televisivo.

La DEA che ferma l'auto di Lemond Bishop utilizzando le intercettazioni dell'NSA è infatti un'esatta riproduzione dell'esempio contenuto nel documento originale che la Reuters ha divulgato, non è invenzione di Robert e Michelle King: è una vera messa in scena, una finzione vera, una narrazione simile a quella di mille procedurali in cui un poliziotto corrotto o scorretto incastra il criminale piantando prove false.

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Più di ogni altra cosa, la possibilità di controllare la storia di qualcuno è la possibilità di controllarne la biografia, di modificare o cancellare l'identità di chiunque senza che sia più possibile, come accade nell'autobiografia, grattare gli strati della narrazione alla ricerca dell'intera identità di qualcuno ma anche di se stessi.

Parallel Construction, Bitches non allude solo alla catastrofe legale del panopticon ma alle sue conseguenze antropologiche. Potremmo cominciare a contrastarle con una bella deframmentazione dell'io.

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