domenica 2 novembre 2014

DA TWIN PEAKS A TWIN PEAKS, L'INIZIO E LA FINE DELLA TELEVISIONE

Nel 1991, a meno che uno non fosse incapace di intendere e volere, era difficile che non sapesse chi era, anzi chi non era Laura Palmer. Il primo episodio di Twin Peaks, infatti fu visto da circa undici milioni di italiani, 39% di share (l'anno prima, negli Stati Uniti, il 33%), e il giorno dopo non si parlava d'altro: chi ha ucciso Laura Palmer?

1.

La televisione contemporanea è venuta alla luce in quel momento, quando con Twin Peaks David Lynch e Mark Frost hanno svincolato il principale veicolo drammatico della TV classica—la soap opera—dalle sue convenzioni narrative.

Fino agli anni '90, era impensabile estendere la complessità di una storia televisiva al di là di uno o di una manciata di episodi; e "dramma" è una parola che ha indicato per molti anni quelli che oggi chiamiamo "procedurali" o le soap opera serali come Dallas o Little House on the Prairie, generi caratterizzati l'uno dalla ripetibilità, idealmente infinita, di uno stesso conflitto (format), l'altro dall'appiattimento di qualsiasi conflitto narrativo sul piano interpersonale. Per esempio, In Mission: Impossible, uno dei procedurali più famosi, gli eroi dello show risolvono di volta in volta conflitti extra personali utilizzando specifiche competenze tecniche e tecnologiche. Non importa "contro" chi la banda di Jim Phelps si scontra in questo o quell'episodio, l'importante è il modus operandi (la procedura, appunto), così come in CSI l'unica cosa che conta è il conflitto fra i modi operandi di crimine e scienza forense, ovvero tra ciò che viene perpetrato nell'invisibile (il crimine) e gli strumenti e le deduzioni che lo rendono visibile (la procedura della polizia scientifica).

Sia allora sia oggi, questi procedurali riescono di tanto in tanto a eguagliare l'archetipo da cui si propagano, cioè Sherlock Holmes, diventando brevemente—e nel migliore dei casi—degli "studi di personaggio", tuttavia la cosa finisce sempre lì e la settimana successiva si ricomincia da capo come se nulla fosse successo.

Invece nelle soap (come nel corrispettivo sudamericano delle telenovele) c'è una certa continuità tra gli episodi ma i conflitti sono esclusivamente personali e dunque immateriali. Anche quando i personaggi entrano in conflitto per ragioni materiali, prima o poi scopriamo che le reali motivazioni del conflitto erano fin dal principio di natura personale: nelle soap opera prima o poi tutti vanno a letto con tutti e tutti si imparentano con tutti perché il sapone detersivo è il correlativo oggettivo dei conflitti personali per eccellenza, cioè quelli familiari*.

* Ci sono svariate teorie sul perché la televisione abbia sviluppato questo "riduzionismo", non ultima quella per cui lo spazio intimo e circoscritto dell'apparecchio televisivo sarebbe inadatto a trasmettere conflitti più estesi o profondi. La reality TV, che è il trionfo dei conflitti personali, rappresenterebbe una conferma di questa teoria.

*

Fino al 1990, dunque, la TV mondiale, per quel che riguarda i drammi, era un agglomerato di soap e procedurali e, fatta eccezione per i drammi brevi autoctoni (in particolare quelli britannici) che oggi chiameremmo miniserie, per i film per la TV (che si chiamano ancora così), fatta eccezione per saltuari episodi autoconclusivi di procedurali o serie tematiche (come Twilight Zone), e fatta eccezione per quegli show statunitensi che rappresentavano un tentativo di ibridazione dei generi come Hill Street Blues, St. Elsewhere o M.A.S.H., la televisione offriva un intrattenimento piuttosto superficiale e standardizzato, in un contesto in cui una vera serialità drammatica era di fatto impensabile: quale spettatore sarebbe mai stato disponibile a dedicarsi per anni e anni, settimana dopo settimana a una storia che avrebbe richiesto un investimento emotivo e una soglia dell'attenzione analoghi a quelli, p.e., dei prodotti cinematografici?

Nonostante la breve durata, solo due anni, Twin Peaks irruppe in televisione e cambiò tutto. Fu un evento che scardinò una volta per tutte sia l'idea di televisione sia l'idea di ciò che è popolare e dunque televisivo, ovvero sia il mezzo sia il messaggio. La sua azione e il suo impatto sono analoghi all'uso di Galileo del cannocchiale, che esisteva ancor prima che Galileo costruisse il suo più raffinato "perspicillo" e che per i figli degli ottici olandesi era solo un giocattolo: fu il gesto di Galileo di puntarlo verso la luna che rivoluzionò il nostro modo di guardare il cosmo, così come il gesto di Lynch di puntare i personaggi verso la storia e l'apparecchio televisivo verso la nostra intelligenza ha rivoluzionato per sempre il nostro modo di guardare la televisione: Lynch è il nostro nunzio catodico.


2.

Il sospetto che il messaggio possa influenzare l'evoluzione di un particolare medium si aggira già nell'opera di McLuhan, soprattutto nella Galassia Gutenberg, e può darsi che sia meno di un sospetto visto che lo stile intermittente, rapsodico di McLuhan è già esplicitamente un tentativo—in parte efficace—di adattare un medium destinato forse all'obsolescenza, il libro, a messaggi provenienti da una società caratterizzata da media tecnologici. La Galassia Gutenberg, infatti, può essere letto linearmente come un qualsiasi libro ma anche all'indietro, a caso, parzialmente, avanti e indietro...

Come altri esperimenti letterari dell'epoca (p.e. Rayuela di Cortazar), La Galassia Gutenberg precede formalmente l'ipertestualità di Internet e rappresenta forse uno dei primi casi di lettura totalmente libera di un libro... anche se di fatto nessun libro può garantire una libertà infinita. Per quanto lo si allunghi o allarghi, per quante pagine o volumi si possano stampare, per quante modifiche si possano applicare alla stampa a caratteri mobili (e poi digitale), un libro sarà sempre un'esperienza infinita in un contesto finito. La biblioteca di Babele di Borges esprime esattamente questo paradosso, cioè il fatto che una storia contenuta in un libro sarebbe un'esperienza infinita nonostante le storie possibili potrebbero essere finite. Inoltre, al pari di un altro famoso racconto borgesiano intitolato L'Immortale, la Biblioteca suggerisce anche che in un tempo infinito, cioè agli occhi di un vero immortale, nessuna storia avrebbe senso:

Tutto, tra i mortali, ha il valore dell'irrecuperabile e del causale. Tra gl'Immortali, invece, ogni atto (e ogni pensiero) è l'eco d'altri che nel passato lo precedettero, senza principio visibile, o il fedele presagio di altri che nel futuro lo ripeteranno fino alla vertigine. Non c'è cosa che non sia come perduta tra infaticabili specchi.

*

Il fatto d'essere "infinita", cioè di occupare uno spazio infinito e di svolgersi in un tempo infinito, sembra una caratteristica della televisione ancor prima che questa infinitezza si caratterizzi, per così dire, come buona (una storia finita nella quale trovi infiniti significati) o cattiva (infinite storie che si ripetono sempre uguali a a loro stesse). Come già la radio, a un certo punto la televisione è ovunque e trasmette 24 ore su 24. E' un medium apparentemente inesauribile, virtualmente immortale, un "infaticabile specchio" che si estende nello spazio e nel tempo annullando lo spazio e incapsulando il tempo in una dimensione ripetitiva: insensata come un orologio, la televisione gira intorno a se stessa, cioè intorno ai suoi palinsesti. Il modello cui s'ispira è quello del quadro incorniciato, nel quale la funzione della cornice era, ovviamente, di raccordare il quadro con il contesto architettonico ma la cui essenza era di escludere tutto ciò che stava al di fuori del quadro e isolare lo spazio illusorio che si esprimeva "in profondità" attraverso la rappresentazione di un mondo di figure "reali" in prospettiva.

Per pura coincidenza, o forse no, l'apparecchio televisivo, che è un tableau vivant et en mouvement, sembra replicare lo stesso destino del quadro e della cornice: questa, lavorata ai fianchi (letteralmente) da Courbet e David Caspar Friederich e infine scardinata da Monet, lascia pian piano che emerga la continuità tra quadro e muro; i quadri si ingrandiscono e la spazio pittorico si abbrevia, diventa quello di una prospettiva infinita in uno spazio piatto (vedi Inside the White Cube di Brian O'Doherty). Analogamente, la cornice cubica dei primi apparecchi lascia il posto agli odierni schermi che si allargano e appiattiscono e che, invece della prospettiva (in questo caso molto limitata) del cannone elettronico, adottano, come al cinema, la prospettiva infinita della profondità di campo.

In questo senso, Twin Peaks è il primo show televisivo più grande della televisione. Non è un film amputato, come si usava fare per adattare il formato cinematografico a quello televisivo ma uno, per così dire, pigiato a forza nella valigia catodica. Per la prima volta nella storia della televisione uno show televisivo usa tutti gli strumenti espressivi della fotografia cinematografica per raccontare una storia, in particolare la luce (e il colore) e la profondità di campo, e lo fa accettando i limiti della TV, cioè seguendo le convenzioni televisive, anche se solo per distruggerle. Così il primo piano, che era—e ancora è—il principale veicolo emotivo della televisione, l'unico in realtà, viene usato massicciamente in Twin Peaks per ottenere l'effetto contrario, cioè trasfigurare i personaggi e quello che provano/esprimono. Allo stesso modo, il dettaglio, che in televisione ha tradizionalmente una funzione esplicativa, e dunque discorsiva, Lynch lo usa di continuo in maniera allusiva e poetica.

*

Twin Peaks ha portato il "buon infinito" in televisione mostrando non solo che era possibile eguagliare creativamente—almeno dal punto di vista narrativo—il cinema, ma che la ripetitività lineare della TV non era un destino inevitabile. Così facendo, è stato il primo a chiedere al medium televisivo più spazio e più profondità di campo, cioè di essere più simile al cinema ma senza perdere la vocazione all'ampiezza seriale, di essere simile ma diverso, di lasciare aperto il mistero dell'infinità che lo contraddistingue imparando a finire l'infinito di tutte le altre storie.

Non è un caso che Lynch non avrebbe mai voluto risolvere il "mistero" di Laura Palmer, né è strano che quando dovette farlo su richiesta dei dirigenti della ABC, questo segnò la fine dello show. E' una lezione che viene usata da tutta la TV contemporanea, persino dai procedurali, nei quali il cosiddetto "lungo arco", cioè la storia principale del protagonista che viene distribuita su 3-4 episodi a stagione (l'aspirazione all'infinito, potremmo chiamarla), è ciò che garantisce (spesso nel corso di anni) l'integrità delle storie autoconclusive settimanali.


3.

Quella che i critici americani hanno definito "golden age" della televisione è semplicemente un quarto di secolo di sperimentazioni narrative con risultati alterni. A parte il numero a tre cifre di fallimenti creativi, la "golden age" è stata caratterizzata da un gran numero di fallimenti produttivi che dimostrano l'inadeguatezza dell'establishment televisivo di fronte all'esplosione di una nuova generazione di autori ma anche la capacità di quello stesso establishment di sfruttare al meglio tale esplosione esasperando un modello di business già fortemente aciclico.

Ho parlato di questo in un vecchio articolo e in due pezzi a proposito di Netflix su Players Magazine (pag. 43) e Serialmente, ma forse è utile ribadire che la strategia iper-razionalista della TV che preferisce l'uovo oggi alla gallina domani—e ciò nonostante non ci sia alcuna emergenza alimentare—funziona benissimo, e funziona proprio alle porte dell'imminente collasso di tutto il sistema.

Allora, più che "golden age", forse dovremmo chiamare i cinque lustri che hanno seguito Twin Peaks l'happy hour della televisione, perché quella che resta è un'atmosfera di arricchita decadenza e occasioni sprecate, quella crepuscolare di una fame destabilizzata da una sazietà artificiale, di un aperitivo che non apre a nulla. Tutto sommato, infatti, gli show che raggiungono un'integrità creativa strutturale e che, oltre a superare le difficoltà tipiche del medium televisivo riescono a tenere a freno l'impazienza dell'apparato produttivo, si contano sulle dita di una mano. Il resto, cioè il 99% della TV, è quantomeno ingiudicabile visto che è rimasto incompiuto, ha superato la data di scadenza o è stato sofisticato in corso d'opera.

Questo lo dico non per sminuire un medium che, personalmente, amo moltissimo proprio per i suoi difetti, ma per sottolineare il fatto che un'età dell'oro la stiamo ancora aspettando e che il periodo che abbiamo appena vissuto andrebbe piuttosto definito "pionieristico": la scoperta di un "nuovo mondo" creativo che avviene alle porte della dissoluzione del medium televisivo e ci lascia con un messaggio senza mezzo che, come si è visto negli ultimi due anni, sta cercando ansiosamente una nuova casa (Netflix?). Cosa ciò significhi ho cercato di descriverlo negli articoli che ho linkato poco fa; qui è importante sottolineare che il periodo pionieristico è finito e ci troviamo già in una fase di transizione i cui esiti non sono chiari: dove andremo a mangiare stasera? Avete ancora fame? Ha senso che David Lynch decida di tornare in TV e di tornare proprio con Twin Peaks?

*

Ciò che ha senso è, senza dubbio, la notizia, il gesto di marketing di un business che, ultimamente, ha un bisogno disperato di mantenere almeno una promessa, di rispondere all'hype, all'accensione della dopammina dello spettatore, con uno yeah!, il rilascio delle endorfine. Il resto si potrebbe definire "giustizia poetica", perché David Lynch ha finalmente la possibilità di finire (cioè non finire o magari disfare la fine) ciò che aveva iniziato: il suo show che non voleva "finire" e il ciclo creativo della televisione che ci ha regalato The Wire, The Sopranos e molte altre ore di TV eccezionale.

*

Non è assurdo dire, allora, che conta più l'annuncio della seconda venuta di Lynch di ciò che poi farà o non farà, e che questo è chiaro anche a Showtime, il network che produce il nuovo Twin Peaks e che, notoriamente, è il più opportunista fra quelli statunitensi. Infatti, non c'è nulla di commerciale nel ravvivare uno show di venticinque anni fa, creato del regista che distilla la cinematografia più pura al mondo e interpretato da un parterre di attori stracchi nei loro sessanta. Ci sono però posizionamento, brand e un investimento sul futuro—anche se è sul passato—che rivelano esattamente la natura della TV in questo momento: un vecchio medium alla ricerca della passata grandezza.

Come il personaggio di Gloria Swanson in Sunset Boulevard di Billy Wilder, la TV fa binge watching di se stessa, cerca di ripetere la sua stessa ripetitività su un piano più grande, tentando, come HBO da qualche anno, di copiare l'infinito buono e fallire (vedi True Detective) invece—come dovrebbe—di reinventarlo. Nel frattempo, altri media ci provano, Netflix con House of Cards, Orange is the New Black e Arrested Developement, e adesso Amazon con il sottile Transparent; provano cioè a dare una casa a una creatività profuga frustrata dalle castrazioni corporative. E così HBO e gli altri devono correre ai ripari e lanciare servizi di streaming on demand che mettono in discussione molti dei loro presupposti commerciali...

Sia come sia, la situazione è incerta e non è chiaro se siamo destinati a un mondo di pubblicazioni babeliche in cui tutti hanno una serie televisiva nel cassetto (al posto di un romanzo) o a una più subdola dittatura dell'intrattenimento.

Intanto, il messaggio televisivo, la buona novella di David Lynch, si è allargato al di là dei suoi scopi originari. Ci vorrà tempo per valutare le influenze della televisione sul romanzo (piuttosto che il trito argomento opposto) ma già queste si vedono sul cinema con la Marvel che annuncia una programmazione seriale che sembra quella di un cable network, giocando addirittura al rialzo e sfruttando brillantemente due invenzioni originarie della TV, lo spinoff e il crossover, financo il crossover fra cinema e televisione. Intanto, Steven Soderbergh scende in televisione e mostra a tutti la fragilità e l'inadeguatezza delle regie televisive. Il suo show, The Knick, non pare neanche scritto ma "girato al volo" o improvvisato come un vecchio film di Godard: è più cinema di molto del cinema che vediamo nelle sale, fermo restando che è televisione. Intanto, la migliore televisione sembra momentaneamente quella più televisiva, quella della CBS che con The Good Wife e Person of Interest (nel quale Johnatan Nolan fa con la scrittura cinematografica quello che Soderbergh fa con la cinematografia) detiene, sorprendentemente, l'egemonia creativa... Intanto... Intanto, dunque, c'è confusione sotto al cielo e, forse, la speranza di tutti è che, dopo un lungo esilio sulla montagna del cinema, quello Zarathustra che è David Lynch, tornando ci porti un nuovo messaggio, una nuova televisione per tutti e per nessuno.

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