mercoledì 28 marzo 2012

QUAL E' LO STATO DI SALUTE DEL RECAP TELEVISIVO?

Leggendo questo sfogo di Rich Juzwiak su Gawker mi è tornato in mente un articolo la cui gestazione risale a poco più di un mese fa. Ciò che dice Juzwiak è in sostanza questo: ho versato milioni di parole scrivendo recap di show televisivi, spesso alla velocità della luce nelle ore successive alla messa in onda, sono diventato sostanzialmente una "recapping machine" e, come se non bastasse, nel frattempo i recapper si sono moltiplicati elevando il testosterone critico e saturando l'etere digitale. Dunque, basta, non ne posso più, fine, kaput.

C'è da dire che Juzwiak recensiva per Gawker America's Next Top Model, Project Runaway e Jersey Shore e dunque, al di là del fatto che un lavoro è pur sempre un lavoro, viene naturale chiedersi perché non si sia stancato prima. Ma, a parte questo, le questioni che solleva nel suo articolo sono molto interessanti e credo valgano anche per le recensioni di show più impegnativi.

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John Fiske (Television Culture, 1987), suggerisce che la televisione sia uno spazio particolarmente adatto all'infiorescenza di testi secondari (commenti, recensioni, video-saggi, liste, ecc.) perché permette a ciascuno di sovraimporre al testo originale (per esempio uno show) la propria esperienza (e dunque anche il proprio sottotesto). Per definire questa particolare caratteristica della televisione, Fiske introduce l'espressione "testo producibile" (producerly text), aggiungendo tale categoria a quelle barthesiane di "testo leggibile" e "testo scrivibile".

In sintesi: il testo leggibile è un testo di fronte al quale il lettore ha solo la libertà di accettare o rigettare il testo; il testo scrivibile è un testo che incoraggia il lettore a partecipare e produrre significati ulteriori rispetto al testo. Apparentemente simile al testo scrivibile, il "testo producibile" si distingue da quello perché non costringe il lettore (o lo spettatore) a uno sforzo supplementare per produrre un testo secondario ma si appella alle sue competenze discorsive, cioè alla sua cultura (popolare). In questo senso, la televisione (medium pop per eccellenza) è un produttore infaticabile di "testi producibili" e, di conseguenza, un luogo dal quale si diramano miriadi di testi secondari. Il perché è implicito in ciò che ho appena detto: un "testo producibile" rende chiunque un potenziale critico di quel testo.

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Ora, tralasciando i testi del fandom o del dilettantismo più selvaggio (quelli che Fiske chiama testi terziari, per esempio tutti i commenti che in questi giorni stanno esplodendo in coda alla premiere stagionale di Mad Men), potremmo distinguere le sovraimpressioni del "testo producibile" (cioè i testi secondari critici) nelle seguenti categorie:

1) Sovraimpressione discorsiva

Il classico testo secondario di quasi tutti i recap. Di questa pratica è maestro Sepinwall che, ogni settimana, commenta svariati show come fosse l'amico spatasciato lì sul divano che, a differenza mia e tua, ha già capito tutto. Sepinwall, come molti altri, si attiene abbastanza strettamente a ciò che un particolare episodio mostra o descrive e, apparentemente, si accorge più che altro di ciò di cui ci accorgiamo tutti. L'originalità dei suoi recap (rispetto a quelli piatti di molti suoi colleghi) sembra dipendere dall'abilità di Sepinwall di replicare molto da vicino l'esperienza comunitaria della visione di un particolare programma e, dunque, dall'offrirci la possibilità di rivedere un episodio trovando conferma di ciò che abbiamo visto (normalmente è così) e, talvolta, scoprendo qualcosa di nuovo. La geniale intuizione di Sepinwall è stata nascondere la distanza critica fra lui, critico, e noi semplici spettatori. Quella distanza c'è, non è stata annichilita, ma non si vede. L'unica cosa che si vede è una sorta di testo secondario collettivo che corrisponde con maggiore o minore precisione alla maggior parte dei testi terziari individualmente prodotti (il che fa sembrare  molto semplice il lavoro del critico anche se non lo è affatto.)

2) Sovraimpressione estetica

La recensione dell'episodio Problem Dog di Breaking Bad (scritta da The Headmaster su Serialmente l'anno scorso) è un esempio di sovraimpressione sensoriale di un testo. Specificamente, si tratta di un testo secondario che riscrive l'episodio in puri termini estetici (es. parole untuose come polli, guerra non più fredda, approccio melluifluo, occhi arrossati, ecc.), cosa che generalmente fanno i critici-scrittori come Heather Havrilesky. In questo caso, la pur necessaria sovraimpressione discorsiva viene sussunta da quella estetica e trasformata in qualcosa di nuovo, cioè in un'esperienza che forse non sapevamo di aver avuto o che, magari, non avevamo avuto del tutto, e comunque in un testo secondario che, pur continuando a dipendere dal testo primario dell'episodio, si stacca. Solo in parte, naturalmente, visto che si tratta comunque di critica e non finzione, ma quanto basta per diventare un'esperienza in più rispetto all'oggetto in discussione.

3) Sovraimpressione critica

Quando un episodio viene letteralmente analizzato rispetto alle strutture narrative o visuali e, dunque, alle opere audio-visive che le hanno codificate, siamo di fronte alla tradizionale sovraimpressione critica. E' un tipo di critica che tutti cercano di adottare (in fondo la maggior parte dei recap sono ibridi fra le varie categorie che vado elencando), ma fra il "cercare di fare" e il "fare" qui c'è davvero di mezzo il mare perché la sovraimpressione critica di fatto tratta il "testo producibile" come un testo scrivibile. Chi riesce bene in quest'opera (come Matt Zoller Seitz) sostanzialmente crea un testo secondario attingendo dalla tradizione artistica e critica, aggiungendo così all'esperienza della mera visione tutta una serie di strumenti che consentono a chi legge di ri-leggere il tale o talaltro episodio più profondamente.

4) Sovraimpresione culturale

La sovraimpressione culturale è il più robusto testo secondario del "testo producibile". Il principio che la governa è illusorio ma efficace: la pretesa che noi e l'autore dell'opera condividiamo le stesse influenze culturali e reagiamo nello stesso modo di fronte a esse. Il che, naturalmente, è possibile. Ma perché la sovraimpressione funzioni, tale principio può essere dato per scontato anche quando non è all'opera. In altre parole, non è detto che una particolare ipotesi o una particolare interpretazione corrispondano esattamente alla volontà dell'autore, perché ciò che fa la sovraimpressione culturale è di sfruttare pienamente l'apertura del "testo producibile" (come ha fatto Jeff Jensen con Lost) producendo un testo secondario che può diventare, eventualmente, primario (che poi è il destino che hanno subito innumerevoli testi scrivibili nel corso della storia della scrittura). In questo caso il distacco dal testo originale può essere persino radicale, andare non solo al di là delle intenzioni dell'autore ma anche della misura del testo. Penso per esempio alla letteratura critica su Buffy, in particolare ai saggi femministi che possono arrivare a trascendere (talvolta brutalmente, altre meno) l'opera di Whedon.

5) Sovraimpressione dialettica

A un certo punto di Television Culture (un libro, forse è il caso di sottolinearlo, in parte attuale e in parte datato), Fiske nota che i testi secondari sulla televisione hanno la particolare caratteristica di entrare in un rapporto dialettico con i testi primari dai quali provengono e che i loro significati possono essere riletti e integrati dalla TV. E' questa, forse, la più grande intuizione di Television Culture, una profezia che a più di vent'anni dalla prima uscita del libro si è pienamente compiuta e comincia a rivelarsi vera anche per altri media. La sovraimpressione dialettica è oggi tipica dei commenti terziari (principalmente i forum) che rappresentano la voce del fandom, sovente ripresi dai commenti secondari e effettivamente presi in considerazione da chi produce i testi primari (cioè i network). Propongo due esempi: il primo è Lost, uno show che è entrato in un fortissimo rapporto dialettico con critici e fan al punto che fra produttori, autori, critici e spettatori si è realizzato un rapporto simbiotico; il secondo è Chuck, una serie che ha completato un lungo ciclo narrativo grazie alla dialettica coi fan rappresentati, per loro (cioè nostra) fortuna, dall'influente Sepinwall.

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Come ho già detto, anche se spesso prevale un certo tipo di sovraimpressione, le varie recensioni o recap sono generalmente ibridi dei diversi atteggiamenti che ho appena elencato. Il problema, per tornare alla questione dell'affaticamento dei recap, è che nella maggioranza dei casi la sovraimpressione critica si esaurisce in una singola o in poche sessioni, quella estetica e quella culturale richiedono un prodotto con alti valori estetici o culturali e, dunque, sono efficaci solo in rarissimi casi, la sovraimpressione dialettica può essere gradevole ma fino a un certo punto e ciò che rimane è quella che ho chiamato "sovraimpressione discorsiva", cioè "quella critica che avremmo scritto tutti se in effetti sapessimo scrivere critiche".

Sono affascinato da Sepinwall che scrive quattro recensioni al giorno, non tanto per la sua formidabile grafomania ma perché riesce a replicare il modello discorsivo apparentemente all'infinito (e che lo faccia non solo per lavoro ma per piacere è cosa nota). Tuttavia, una volta che Sepinwall l'ha fatto, cioè una volta che ha scritto quello che scriveremmo tutti se sapessimo farlo, che senso ha leggere (o, se uno sa farlo, a maggior ragione scrivere) quello che ha già scritto Sepinwall? Le stesse recensioni di Sepinwall tendono a diventare ripetitive, ma cosa ne è di una ripetizione che a sua volta tende a ripetersi? In altre parole, perché leggere una copia di una copia?

Infatti non c'è nessuna ragione per farlo, così come non c'è nessuna ragione per commentare Parks and Recreation o Community o Fringe (tutti show di alto livello) ogni settimana; perché lo fa già Sepinwall, certo, ma anche perché singolarmente preso ciascuno di questi show ha una riserva limitata di argomenti per i critici e obbliga chi li recensisce a circolare senza sosta intorno al modello discorsivo.

Ciò non significa che la pratica del recap sia morta o inutile, solo che ha raggiunto il suo limite, cioè la saturazione. In parte è colpa (ma preferisco vederlo come un merito) proprio di Sepinwall che, in questi anni, ci ha educati all'apertura del testo televisivo facendo evolvere molti di noi (anche chi non confida le sue impressioni a un blog o a un forum) da scrittori terziari in scrittori secondari, in parte è l'inevitabile destino di qualsiasi testo producibile: dopo un po' diventiamo tutti sceneggiatori.

E dunque? Un sistema in cui l'offerta supera di gran lunga la domanda non è in sé maligno ma radicalmente dispersivo. I protestanti protesteranno ma spreco e dispersione non sono necessariamente peccati capitali. Alla resa dei conti la dialettica di un pubblico più educato con gli scrittori di testi secondari (i critici) e quelli di testi primari "producibili" (i network, gli showrunner) potrebbe rivelarsi la chiave per innalzare la qualità generale della televisione e della critica. Anche no, ma sperare non costa nulla.

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