sabato 17 marzo 2012

ETICA DELLA FINE

HBO ha cancellato Luck, il nuovo show di David Milch, dopo il terzo incidente a un cavallo. A mia memoria è la prima volta nella storia della televisione che uno show viene cancellato per ragioni animaliste, che poi significa umanitarie visto che la questione chiaramente non riguarda il benessere degli animali ma il senso di colpa degli uomini (sempre che la questione riguardi proprio questo e non le pubbliche relazioni della HBO o i conflitti fra i due showrunner, Milch e Mann, o gli ascolti* o qualsiasi altra cosa che per ora ci sfugge). La cosa interessante è che questa cancellazione inaugura un precedente e, al contempo, rappresenta un successivo, un'evoluzione naturale dell'atteggiamento dei network nei confronti dei loro prodotti.

* Per quanto secondo la "logica cable" gli ascolti siano un problema secondario, c'è invariabilmente una relazione fra i costi di uno show e il ritorno in spettatori e brand. Forse gli ascolti non hanno influito sulla cancellazione di Luck ma con ascolti più alti, come hanno notato in molti, probabilmente lo show non sarebbe stato cancellato.

Indubbiamente i network televisivi non sono opere di beneficenza. I broadcast network competono in un mercato libero per gli ascolti (che si traducono in inserzioni pubblicitarie); i cable network, le pay per view e le pay tv competono per il maggior numero di sottoscrizioni nel mercato, per così dire, dell'intrattenimento identitario**.

** L'offerta dei cable network e simili è basata su principi identitari (un certo tipo di programmazione attira e fidelizza un certo tipo di spettatore che si riconosce in quella programmazione). Di conseguenza il brand (largamente inteso) è uno degli elementi più importanti di un cable network, al punto che per esempio la HBO ha uno slogan che fuga qualsiasi dubbio sul fatto che state vedendo HBO e non un qualsiasi altro network: It's not TV.

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Ci sono innumerevoli elementi che influiscono sulla profittabilità di uno show e dunque sulla sua permanenza sullo schermo (costi di produzione, anno di programmazione, possibilità di syndication ecc.) ma, riducendo la cosa ai minimi termini, apparentemente i vari network decidono o non decidono di cancellare questo o quell'altro show secondo criteri principalmente economici e rispetto a un modello di business sostanzialmente tradizionale. Non per contraddirmi, ma questo vale anche per HBO, con la differenza che questo network può permettersi una maggiore elasticità, per esempio di scommettere su uno show senza preoccuparsi di monetizzare spettatori e profitti nell'immediato.

Detto questo, la televisione contemporanea, quella post-Sopranos per intenderci, si è aperta a nuovi dilemmi non riducibili a questioni meramente economiche, si è aperta cioè a questioni, per così dire, di biopolitica televisiva o biotelevisive.

In altre parole, finché la televisione è un mezzo di intrattenimento usa e getta (ancora in parte lo è), la sopravvivenza di uno show è più o meno irrilevante. Uno show cancellato verrà sostituito da un prodotto simile o analogo perché, in fondo, fra una sitcom o un dramma discreti e i loro successori non ci sarà mai grande differenza. Nel momento in cui però la televisione comincia a produrre opere esteticamente rilevanti per un pubblico con esigenze nuove e diverse, i calcoli esclusivamente commerciali non sembrano più sufficienti.

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Ora, chi pensa che ciascuno coi suoi soldi fa quello che vuole è inutile che continui a leggere. Proseguite invece se ritenete come me che sia discutibile coinvolgere centinaia di persone nella costruzione di un'opera d'arte (e, vista la natura episodica della televisione, anche milioni di spettatori, di seguaci, usufruttori della detta opera) per poi abbandonarla a una eterna incompletezza.

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La televisione è un medium impaziente. E' comprensibile: uno show televisivo che non funziona è, nello scafo di un network, una falla che tende a divaricarsi di settimana in settimana e, poiché la competizione è feroce, navigare nell'oceano dell'etere imbarcando acqua non è l'ideale per nessuno. Così, con mosse sovente isteriche, i vari network cancellano ogni anno innumerevoli show dopo pochi episodi, mantenendo in vita solo quelli che galleggiano ma non necessariamente superano gli standard di ciascun network. La situazione infatti può essere così drammatica che spesso show che in condizioni "normali" verrebbero cancellati riescono a sopravvivere (come è accaduto a Chuck) perché il resto cade letteralmente a pezzi. Alla fine della stagione televisiva ciò che è rimasto a bordo non è detto venga necessariamente rinnovato per la stagione seguente. Altri show finiranno nel dimenticatoio, sostituiti da molti altri show che in genere faranno la medesima fine.

La strategia principale dei network (in particolare broadcast) sembra simile a quella di chi gioca per diletto al Totocalcio (se c'è ancora qualcuno che ci gioca): c'è una vaga competenza di ciò che potrebbe piacere al pubblico ma la possibilità di fare 13 dipende più dalla fortuna che dall'abilità di chi scommette. Ho usato l'analogia del Totocalcio perché presumo che qualcuno ponderi almeno un po' prima di mandare in onda uno show televisivo, ma l'impressione dall'esterno è che le programmazioni annuali siano più come una lotteria e che i dirigenti dei vari network non abbiano una chiara idea di quello che stanno facendo e sperino solo di azzeccare i numeri giusti. Naturalmente, per via del discorso identitario cui accennavo prima, i cable network sono meno propensi al fallimento perché in qualche modo sanno già cosa il loro target gradisce, hanno più tempo per svilupparlo e un pubblico meno isterico dei broadcast network. Ciò naturalmente non implica l'infallibilità dei cable network. HBO, per esempio, ha cancellato qualche anno fa uno dei migliori show di sempre, Deadwood, e continua a mandare in onda uno show che non sono il solo a ritenere mediocre o, quantomeno, vessato da altalenanti risultati, cioè Boardwalk Empire.

A parte questo, mi sembra giusto sottolineare che negli ultimi anni i vari network (anche broadcast) sono stati protagonisti di scelte, per così dire, televisivamente ecologiche. La NBC, per esempio, tiene in vita 30 Rock in linea di principio, finché Tina Fey avrà voglia di farlo; la HBO ha recentemente salvato Enlightened, un favoloso show con un'audience misera; FOX ha salvato Fringe; FX (che è un network in stato di grazia) ha lasciato lievitare lo show sperimentale di Louis C.K. e adesso si ritrova con uno dei tre migliori show in onda insieme a Breaking Bad e Mad Men; AMC ha rinnovato Mad Men (i cui ascolti non brillano) per altre due stagioni (in pratica tre) sacrificando forse una stagione di Breaking Bad, comunque rinnovato per la tirata finale.

Ma quanto le scelte che ho appena elencato sono dettate da sincero spirito, diciamo così, "ecologista"? Si tratta davvero di atti ecologici o solo di atti che rientrano in un piano più ampio?

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La televisione è cambiata: non è più un medium narco-ipnotico con un modello di business basato sulla ripetitività pornografica della medesima emozione (un po' lo rimane, basti pensare a programmi come The Big Bang Theory), e non lo è perché l'avvento di altri media (Internet in particolare) ha completamente cambiato la nostra percezione della vecchia scatola magica con le antenne. Non è che i network non se ne siano accorti, anzi, prova ne sia che l'approccio al pubblico è radicalmente cambiato negli ultimi anni: il pubblico non è più considerato un'entità statica che subisce inane ciò che viene trasmesso ma una vera e propria entità biopolitica, ovvero biotelevisiva.

La HBO è all'avanguardia in questo senso perché già tratta il pubblico dei suoi show come un essere vivente. Quasi tutti gli show di HBO incominciano in sordina, con ascolti medio-bassi che via via aumentano stabilizzandosi nel corso delle seconde stagioni perché il pubblico, noi, siamo come piante accudite da un sapiente giardiniere. Come anche gli altri network, HBO utilizza tutti i media e gli strumenti a disposizione per cercare di gratificare il suo pubblico ma, a differenza degli altri, i suoi sforzi sono quasi sempre vincenti e funzionano in virtù di un completo cambiamento di prospettiva nei confronti degli spettatori: non più una popolazione ma un'entità demografica-biologica. E' in questo senso che l'ascendente biopotere televisivo, per quanto ancora soggetto a frequenti attacchi isterici, regolamenta la vita e la morte degli show non più solo secondo criteri esclusivamente economici ma anche secondo strategie che tendono a anticipare le risposte "biologiche" del pubblico. E la cosa vale anche per i broadcast network, per esempio per FOX e CBS che hanno già ampiamente adottato strategie biotelevisive sia per l'informazione sia per parte della fiction.

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E' chiaro allora che la lotteria di cui parlavo sopra è solo apparentemente una lotteria. In realtà è uno "stato interiorizzato di polizia mediatica" nel quale non c'è più distinzione fra chi cancella, chi è cancellato e chi subisce la cancellazione (noi, spettatori) perché il biopotere televisivo ha già previsto e anticipato (o almeno valutato) le nostre reazioni in quanto organismo demografico-biologico. Ormai la televisione è bio-globalizzata: dal punto di vista dei network non c'è più differenza neanche fra lo spettatore che guarda Fringe e quello che non lo guarda (neanche per gli spettatori, apparentemente: nei forum, per esempio, si leggono moltissimi commenti su Fringe da parte di chi non ne ha mai visto neanche un episodio) perché gli spettatori non sono valutati individualmente ma come un ecosistema del quale fa parte anche ma non solo ciò che guardano. La competizione fra network è solo un'illusione nel 2012. C'è, esiste, sarebbe stupido negarlo, molte illusioni d'altronde si perpetuano nel mondo, ma è solo un'apparenza che nasconde il sostanziale equilibrio della catena alimentare televisiva.

Per cui, per rispondere alla domanda del titolo: quali sono le condizioni che giustificano la cancellazione di uno show televisivo? La risposta è semplice (e vieppiù complessa): uno show può essere cancellato quando è possibile cancellarlo. E' questa l'unica conditio sine qua non. Lo dimostrano Luck e tutti gli altri grandi o meno grandi show che sono stati interrotti in corso d'opera. In altre parole, uno show può essere cancellato quando la cancellazione non sbilancia l'ecosistema televisivo di cui anche noi, come ho detto, facciamo parte. I rating sono un elemento spesso decisivo per la cancellazione ma la verità è che non c'è nessuna limitazione a questa regola come in passato si è visto. Indipendentemente da qualsiasi variabile, quando si creano le condizioni per cui la possibilità di cancellazione diventa reale, anche il migliore degli show o quello più di successo possono vedere la fine (per esempio, la non avvenuta ma possibile cancellazione di Two and a Half Men dopo gli scandali di Charlie Sheen non avrebbe creato grandi interferenze nella Forza Televisiva).

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Il fatto è che quanto uno show può essere cancellato, tanto può non esserlo. E' in questa simmetria che, a mio parere, devono intervenire, scevri dal cinismo dei network, principi ecologici. Talvolta cancellare uno show è l'equivalente di una repentina estinzione che, improvvisamente, lascia il mondo più povero. La fine di Deadwood o Firefly, per esempio, è stata come se da un giorno all'altro fossero scomparsi tutti gli orsi bianchi o le tigri, maestosi animali che magari abbiamo visto solo allo zoo o in un documentario di Attenborough ma che fanno parte di questo mondo insieme ai piccioni e ai ratti (lascio a voi la scelta degli show analoghi). E' evidente che non c'è un criterio preciso per determinare la sopravvivenza di un qualsiasi show, che questo sia Deadwood o, perché no, Gossip Girl, ma è chiaro che la cancellazione di uno show non può dipendere dalla sola possibilità di essere cancellato dal biopotere televisivo, il quale - per chiudere il cerchio di questo articolo - come dimostrato dal caso di Luck, ha chiaramente molte più armi (o giustificazioni) per abbattere i programmi di quante non ne avesse la televisione tradizionale.

Luck era, a mio parere, uno show meraviglioso. Difficile, indubbiamente, ma non più di The Wire che ha avuto la fortuna di durare cinque stagioni. E' stato cancellato per ragioni biotelevisive e, soprattutto, preventivamente, prima che fosse troppo tardi per farlo: perché moriranno altri cavalli? Perché Milch, come dice il gossip, ucciderà Mann? Perché lo show fra quattro anni costerà troppo? Perché non ci saranno spettatori? Perché, nell'ipotesi più estrema, è stato lo stesso Milch a volerlo? No, semplicemente perché, qualunque sia la ragione, adesso era possibile farlo.

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