lunedì 23 gennaio 2012

TELEVISIONE POLITICA E POLITICHE TELEVISIVE: IN ITALIA BORGEN SAREBBE IMPOSSIBILE

Borgen è un mirabile show danese che probabilmente non guarda nessuno, uno show che è un po' The West Wing, un po' la nuova serie di Aaron Sorkin il cui pilot è attualmente in post-produzione (e anche un po', perché no, The Good Wife).

Perché, che so, RAI 3 non ha comprato Borgen e non lo ha doppiato (pardon, sottotitolato) come ha fatto la BBC? E, a parte questo, perché un paese con cinque milioni e mezzo di abitanti e una tradizione cinematografica indubbiamente straordinaria ma non all'altezza di quella italiana produce roba tipo Forbrydelsen e Borgen mentre noi, quando ci va bene, dobbiamo sorbirci il XIII Apostolo? Perché la mia mamma, che è persona intelligente, odia Santoro? (L'ultima domanda sembra irrelata ma non lo è, vedrete.)



Non sono un esperto di "meccanismi produttivi italiani" (c'è qualcuno che lo è di tale materia?) ma devo dire che ho avuto, come si dice oltremanica e oltreoceano, "my good share of experiences". So, per esempio, che in Italia si producono cose che magicamente (meglio dire paradossalmente) smettono di esistere non appena vengono compiute, e so che ci sono grandissimi produttori in Italia, almeno finché usano i soldi degli altri, cioè i nostri. Ho imparato, o almeno ho avuto l'impressione, che le "arti" audiovisive sono essenzialmente statalizzate come nell'Unione Sovietica degli anni '50, ma che in generale non si producono film né per arte né per parte né per business né per ideologia o propaganda ma perché queste opere svaniscano il più presto possibile, perché nessuno si ricordi che quella cosa che è passata sullo schermo sia mai esistita. Sto generalizzando, lo so, ma questo è ciò che appunto accade in generale, cioè il fatto che ci siano dei soldi da spendere perché garantiti dallo Stato e che lo spenderli (o intascarli) sia più importante dello spenderli bene.

Certo, può anche darsi che mi sbagli e che stiamo semplicemente vivendo (eccezioni a parte) una fase di declino culturale che ha abbassato la vista a tutti, produttori, scrittori, registi, ecc., ma a essere onesti non lo penso. O meglio, sono cosciente che siamo in una fase di declino culturale (in certi campi abissale), ma credo che, soprattutto per quel che riguarda la televisione, la quasi totale assenza di prodotti di un certo livello (se non buoni, professionali) dipenda principalmente dall'impossibilità di descrivere l'Italia, dal fatto che l'Italia sfugge a qualsiasi drammatizzazione o, se volete, che l'Italia è una provincia remota nella globalizzazione della letteratura.

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Prendiamo, appunto, Borgen, l'ho detto che avrei parlato di Borgen, no? Nei primi due episodi, Birgitte Nyborg, la leader del Partito Moderato (ago della bilancia fra destra e sinistra), vince le elezioni (in Danimarca c'è ancora il proporzionale) e la Regina la incarica di formare un nuovo governo. Detta così la vicenda non sembra molto eccitante, ma ciò che conta qui (come in ogni buona storia), sono il come e il perché accade ciò che accade.

Il "perché" è ovvio: perché la storia deve incominciare da qualche parte, nella fattispecie dall'idealizzazione drammatica della politica danese. Tutto ciò che so di politica danese proviene dalla Wiki e da svariate ricerche su Google per cui non saprei dire quanto l'idealizzazione sia lontana dalla realtà della politica danese. Ciò che so è che non è cosa importante, perché la suddetta idealizzazione rappresenta uno schema politico universalmente comprensibile e, benché si tratti di un'idealizzazione, rappresenta una realtà plausibile.

Il "come" è meno ovvio perché una bella storia non è mai ovvia. Alle soglie delle elezioni, i sondaggi danno per vincenti il Partito Liberale e il Partito Nazionalista che, insieme al Partito Moderato, sarebbero dunque destinati a governare il paese. Tuttavia il leader del Partito Liberale, attuale Primo ministro, viene investito da uno scandalo (ha usato, a dire il vero innocentemente, la carta di credito del governo per una spesa personale) e il leader del Partito Nazionalista lo attacca ferocemente durante un dibattito televisivo. Nello stesso contesto, Nyborg (che è donna di principi) prende istintivamente la palla al balzo e lancia un appello alla decenza ottenendo una vittoria straordinaria e inaspettata alle elezioni.

Poiché non è inusuale che la Danimarca sia governata da coalizioni di minoranza, la Regina, come ho già detto, incarica Nyborg di formare un governo. Improvvisamente al centro della politica danese, Nyborg (unica Primo Ministro donna nella storia) deve farsi strada in un mondo nel quale il pragmatismo tracima incessantemente nella crudeltà politica e l'ingenuità e l'inesperienza sono un lusso che nessuno può permettersi.

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Parallelamente, Katrine Fønsmark è una giovane giornalista dell'immaginaria TV1 (esiste in effetti una TV2) e rappresenta l'altra faccia della medaglia di Borgen ovvero, per così dire, il "dramma mediatico", la stessa storia raccontata però dal punto di vista dell'informazione.

Sia Nyborg che Fønsmark sono due donne che emergono in mondi essenzialmente maschili, e tanto di cappello alle sceneggiature che non mancano mai di raccontarci, attraverso il dramma pubblico, privato e familiare, la complessità di questi due straordinari personaggi femminili.

Ora, tralasciando la soap dello show (comunque ben scritta e ben sostenuta dalle varie interpretazioni), in Borgen, come in The West Wing, la politica e l'informazione sono descritte senza retorica e senza semplificazioni. Nei primi sei episodi lo show mostra, con eccellente caratterizzazione dei vari leader, i rapporti di potere fra i diversi partiti, parla di politiche sociali, politiche di genere, della questione della Groenlandia e, nell'episodio più debole, di politica internazionale e terrorismo.

In particolare, il quinto episodio (quello dedicato alle politiche di genere) è un esempio dell'eccellenza della scrittura di Borgen. Nyborg vuole emanare una legge che obbligherebbe tutte le corporazioni che operano su territorio danese a rispettare la quota femminile del 50% nei consigli di amministrazione, una proposta che viene immediatamente avversata dal più grande imprenditore danese, Chrone, che da solo rappresenta l'11% del PIL. Essenzialmente un'idealista, Nyborg non vuole che la politica del suo governo sia influenzata dagli industriali e, nonostante le preoccupazioni dei suoi ministri e consiglieri, quando Chrone minaccia di portare tutti i suoi affari all'estero, Nyborg non cede e va a scoprire il bluff dell'imprenditore ottenendo una grande vittoria politica e personale. La "ciccia" drammatica dell'episodio sta nei due incontri fra una nervosa ma determinata Nyborg e il terrificante Chrone e, soprattutto, nella vicenda del Ministro delle Finanze, una businesswoman ultra-competente che viene attaccata da un quotidiano scandalistico per il suo passato da modella e per la presunta promiscuità (alla fine, si scoprirà che ha scheletri di altro genere nell'armadio).

Insomma, senza entrare in ulteriori dettagli, Borgen non è un capolavoro come Forbrydelsen (almeno la prima stagione) ma è un esempio di come si possa fare grande televisione anche nell'Europa continentale (ovvero non negli Stati Uniti e non in Inghilterra). Soprattutto è un esempio di come si possa parlare di politica drammatizzando i nostri governi e la vita dei nostri governanti come da tempo fanno gli inglesi e gli americani.

In Italia sarebbe possibile lo stesso? Sarebbe possibile raccontare la storia di una Ministra che viene ingiustamente attaccata per la sua promiscuità? Tipo, che so, Carfagna? Sarebbe possibile raccontare la storia di un leader idealista che riesce, nella sua opera di governo, a minimizzare i compromessi? Chi è la Nyborg italiana? Monti? Grillo? Quali sarebbero i giornalisti che cercano la notizia verace in mezzo alla caotica mole di voci? Travaglio?

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Sono le domande sbagliate. C'è una sola domanda, io credo: è possibile drammatizzare un sistema politico in cui tutto è permesso? La risposta è certamente no, sarebbe una storia priva di dilemmi e dunque noiosa. Sarebbe possibile, allora, drammatizzare il caos della politica italiana? Qualcuno ci ha provato ma senza grandi risultati. La cosa migliore che sia mai passata in televisione è Romanzo Criminale che, tuttavia, ha affrontato la politica italiana dal punto di vista della Banda della Magliana e, dunque, prendendo la questione molto alla larga.

Il problema è che la nostra politica, che è stata per alcuni anni anche un laboratorio del potere mondiale, è senza dubbio interessante ma i nostri politici no. Inoltre, ancorato senza apparente via d'uscita al conflitto ideologico della guerra partigiana, è il nostro popolo, siamo noi a non essere interessanti. C'è un'amorosa corrispondenza fra la hybris dei nostri politici e l'accidia del nostro popolo che renderebbe qualsiasi drammatizzazione della politica una storia senza conflitti o, al limite, una storia che ritorna su un conflitto ideologico di cinquant'anni fa, un conflitto cioè fra attori irremovibili (e dunque non drammatici).

E così arriviamo alla mia mamma. Perché mia madre, pur non avendo alcun amore per Brunetta, pensa esattamente come Brunetta che Santoro sia fazioso? Perché mia madre odia Santoro, cioè uno dei pochissimi giornalisti italiani che fa bene il suo lavoro, se non altro perché mette in difficoltà i suoi interlocutori?

In realtà non ho bisogno di una risposta perché sono italiano e, come tutti gli italiani, so benissimo il perché. Come tutti gli italiani sono parzialmente responsabile dei Film Di Natale e di tutti quei film (che magari non vedono neanche le sale) in cui l'immigrato albanese si innamora dell'immigrata serba e i due vengono vessati dal piccolo imprenditore leghista che non paga i contributi. Nostalgici dell'orgiastica romanità di fine impero e del sogno borghese di emigrare altrove, gli italiani si dividono in due, fascisti e comunisti, maschi e froci, puttane e sante, ricchi e poveri, magri e ciccioni, pelati e capelluti, Twitter e Facebook, nord e sud, televisione e internet, leone e gazzella, gatto e topo, cane e gatto. Ornitorincum non datur.

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