sabato 14 maggio 2011

COMMUNITY: DELIRIO, PERSONE, PERSONAGGI

Se dovessi scegliere un episodio di Community per descrivere a qualcuno cosa è Community, sarebbe Critical Film Studies.

In Critical Film Studies, Jeff ha segretamente organizzato una festa tematica a sorpresa (ispirata a Pulp Fiction) per il compleanno di Abed, il quale tuttavia ha in mente qualcos'altro. Come sapete (o non sapete, se leggete questo articolo senza aver mai guardato Community) Abed è il personaggio più "meta" della show, cioè quello che rompe più frequentemente la quarta parete, non solo riconoscendo l'irrealtà dei personaggi e dell'azione, ma anche rivelando i meccanismi narrativi all'opera nella storia.

In Messianic Myths and Ancient People, per esempio, Abed scrive e interpreta un film à la Charlie Kaufman, in cui il regista cerca Dio con la cinepresa e improvvisamente si rende conto di essere Gesù, e che la cinepresa è l'occhio del Signore ("I'm watched as I am watching, I'm audience and creation", dice a un certo punto). Così Greendale diventa la Galilea e, in un accesso di isteria collettiva, gli studenti del community college si trasformano in seguaci del messia-Abed mentre, con un bellissimo ribaltamento dei ruoli, l'unica vera cristiana dello show, Shirley (che tiene anche in vita il principio di realtà), è costretta a fare la parte della farisea.

In sostanza, Abed non solo scavalla tutte le convenzioni narrative (a onor del vero, a favore di altre convenzioni) ma convince o costringe tutti gli altri personaggi a seguire il suo autocosciente delirio così come Communty invita o costringe noi spettatori a seguire la sua delirante autocoscienza.

Da un punto di vista patologico, Abed (e per molti anche lo show) è parzialmente autistico: la principale forma di relazione che conosce è mediata dalla gigantesca riserva dell'immaginario pop. Per Abed la "misura dell'uomo" è la cultura pop (o, se preferite, il pop è misura di tutte le cose). Da un punto di vista, per così dire, sociologico o antropologico, Abed (e lo show con lui) rappresenta il nostro atteggiamento bulimico nei confronti della cultura pop, la voracità con la quale la inghiottiamo per rimetterla subito in circolo rigettandola all'esterno. In altre parole, Abed giudica il mondo tramite la cultura pop e usa la cultura pop come un manuale di psicologia, secondo il principio per cui ricreare un determinato contesto relazionale produce gli stessi effetti originati da quel contesto. (Ovvero, che so, se ho un comportamento problematico e introverso come James Dean presumibilmente otterrò negli altri reazioni simili a quelle che hanno i personaggi nei suoi film: esattamente quel che accade con Annie nel finale di stagione quando Abed interpreta Han Solo.) Naturalmente, trattandosi del discorso evangelico, il contesto di Messianic Myths è estremo e i meccanismi narrativi descritti nell'episodio sono più una metafora della nostra fragilità nei confronti delle contemporanee e virali epifanie "religiose" (leggi tecnologiche) di quanto non siano una descrizione dei nostri atteggiamenti mimetici.

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Per tornare al punto, in Critical Film Studies, Abed attira Jeff in una messa in scena di My Dinner with Andre, un film di Louis Malle del 1981 nel quale due amici da tempo estraniati si ritrovano. Replica cioè il contesto e i meccanismi relazionali del film per ottenere per lui e Jeff quello che i due protagonisti dell'opera di Malle, Andre Gregory e Wallace Shawn, raggiungono alla fine della pellicola nonostante le enormi differenze accumulate nel corso degli anni: l'autenticità, se vogliamo usare questa parola, del loro originale rapporto o, se preferite, molto più semplicemente, un rapporto autentico.

Che la messinscena di Abed funzioni o meno dipende probabilmente dal nostro investimento emotivo nello show ma, al di là di questo, rappresenta molto bene il nostro atteggiamento mimetico nei confronti dei personaggi iconoci e dei modelli relazionali prodotti in seno alla cultura pop e, nondimeno, l'efficacia di alcuni di questi modelli quando siano correttamente interpretati (Abed, per esempio, riesce a ottenere da Jeff un istante di autenticità un attimo prima che il trucco venga svelato). Con differenti esiti, possiamo dire che ciascuno di noi è stato prima o poi un personaggio di fantasia, il Fonz, Han Solo, Grace Kelly, James Dean, Madonna, James Bond oppure, oggi, Neo, Don Draper o Walter White, e così via.

In qualche modo è come se la nostra vita diventasse, a tratti, un gioco di ruolo nel quale il successo o insuccesso dipendono dalla nostra comprensione del ruolo che assumiamo e, non secondariamente, dal fatto che l'altro accetti o meno di partecipare al gioco.

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In Advanced Dungeons and Dragons, per esempio, per salvare Fat Neil dalla depressione, ogni personaggio accetta di interpretare un personaggio dell'RPG fantasy D&D mentre Pierce, interpretando in pratica se stesso, rappresenta sia il cardine fra la realtà di Greendale e la finzione del gioco sia l'agente che il gioco alla fine lo scardina.

Advanced Dungeons and Dragons è un episodio straordinario: è pieno di battute memorabili ("I attack them using my additional notes", pronunciata da Troy, su tutte) e, tecnicamente, usa la colonna sonora e la voce fuori campo in maniera magistrale come un surrogato della fantasia ma, soprattutto, traduce nel sistema morale/etico del gioco la moralità/eticità dei personaggi adattando di fatto la vita all'immaginazione. Nella maggiorparte dei giochi, se non in tutti, è inevitabile mettere in gioco il proprio carattere (vedi Per Gioco. Piccolo manuale dell'esperienza ludica, Dal Lago e Rovattti, 1993) ma in Dungeons and Dragons, come in tutti i giochi di ruolo, è proprio il carattere l'oggetto del gioco. E, proprio perché non c'è neanche un istante in cui la storia trascende il fatto che un gruppo di amici sta in effetti giocando intorno a un tavolo, ciò cui di fatto assistiamo è la circolazione virtuosa del carattere dai personaggi "reali" dello show a quelli di fantasia e viceversa, cioè esattamente quel meccanismo attraverso il quale interiorizzamo i modelli culturali adattandoli alla nostra identità.

Ancora una volta, in Advanced Dungeons and Dragons è Abed il regista "interno" dell'episodio, la miccia che accende la meta-narrazione e dà modo ai personaggi di essere personaggi e osservare se stessi in quanto personaggi. Amleto è il modello di questa persona che è persona e personaggio contemporaneamente perché Amleto, se volete, è il primo personaggio meta della storia, se non altro per l'idea di mettere in scena l'assassinio di suo padre all'interno della messinscena della sua tragedia. Bloom (Shakespeare: the Invention of The Human, 1998) descrive benissimo questo meccanismo nel contesto della fondazione dell'uomo contemporaneo che sarebbe poi l'opera di Shakespeare in generale e l'Amleto in particolare. Indubbiamente, Abed è un'estremizzazione di Amleto ma ciò che effettivamente estremizza è uno dei tratti dominanti e più interessanti delle nostre persone contemporanee: il mostro della consapevolezza.

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La "consapevolezza" è l'argomento di un altro grande episodio della stagione, il mockumentary Intermediate Documentary Filmaking, nel quale Pierce (che si accolla il ruolo di coscienza critica del gruppo perché Abed, la vera coscienza critica del gruppo, è di nuovo dietro alla telecamera) si finge malato terminale e lascia qualcosa in eredità a ciascuno degli altri personaggi.

Ciascuno dei doni di Pierce (tranne, forse, quello per Annie) ha la funzione non tanto di trasmettere un insegnamento agli altri membri del gruppo di studio ma serve per mettere in pratica uno schema vendicativo originato dalla sempre più profonda estraniazione fra lo stesso Pierce e gli altri. I doni di Pierce sono fatti, in sostanza, per punire, sono delle allegorie negative e, soprattutto, sono pensati per coscienze capaci di cogliere immediatamente sia l'allegoria sia la malizia dell'intenzione. Tutti sanno cosa Pierce sta facendo eppure tutti cadono nella sua trappola perché i doni non sono semplicemente allegorici ma diabolicamente meta-allegorici. Perfetto è quello per Britta, la quale riceve un assegno di diecimila dollari da donare all'opera caritatevole che preferisce. Pierce le dice che, se vuole, può anche tenerselo e Britta alla fine ammette che è quello che avrebbe fatto se non fosse stato per le telecamere, cioè se non fosse stata la protagonista di un single camera show all'interno di un single camera show (all'interno di uno show che usa lo stile del single camera show in uno dei suoi episodi).

Intermediate Documentary Filmaking, in sostanza, descrive uno dei segreti meccanismi che fanno funzionare Community (e forse la nostra mente), cioè il fatto che nello show c'è una quinta parete, una sorta di muro in cartongesso fra i personaggi e loro stessi, una parete che viene rotta (e interrotta) senza sosta. O forse è meglio dire una membrana autorigenerante fra personaggio-personaggio e personaggio-persona. La stessa tramite la quale i personaggi sono disponibili ad accettare la delirante logica dell'altro e la stessa tramite la quale avviene il nostro rapporto osmotico con la cultura pop.

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In Abed's Uncontrollable Christmas, questa membrana è un portale, una soglia fra universi che fa da ponte fra il mondo quasi-normale di tutti i personaggi e quello delirante dell'Abed natalizio. E' la sola e unica volta nella quale abbiamo la possibilità di esplorare la mente di Abed e quel meccanismo che è effettivamente una caratteristica di alcuni deliri patologici (e di quella patologia delirante che chiamiamo cultura pop): il dimenticare ricordando, il commemorare ripudiando (Logiche del delirio, Bodei, 2000).

Abed's Uncontrollable Christmas sancisce la centralità di Abed nello show, mette Abed al confine fra autore, personaggio, regista e spettatore (che è poi il tema sotterraneo della discussione fra Andre e Wallace in My Dinner with Andre) ma, soprattutto, è il miglior esempio della profonda vocazione di Community per la linguistica. E' facile pensare a episodi come Basic Rocket Science, Epidemiology e il doppio finale di stagione A Fistful of Paintball/For a Few Paintballs More come farse o parodie di genere, ma la realtà è che in questi e altri episodi i tropi di genere non vengono "presi in giro" ma sono la grammatica e la sintassi del racconto, sono dialetti pop che Community sa virtuosamente parlare e che usa di volta in volta per narrare la storia di Jeff & Co.

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Alla resa dei conti, infatti, Community è una storia, cioè la storia di un avvocato cacciato dall'ordine perché non si è mai davvero laureato e che a Greendale trova un contesto esistenziale (quello di Cooperative Calligraphy, per intenderci) che è l'antitesi del suo stile di vita precedente. Naturalmente, Community non può essere la storia della redenzione di quell'avvocato, Jeff, come non può essere la storia dell'irredento Pierce o della maturazione emotiva (e intellettuale) di Troy e Annie, della maturazione intellettuale (e emotiva) di Britta, dell'apertura della mente di Shirley o della "guarigione" di Abed. Non può essere nessuna di queste storie perché Community non è nessuna storia pur raccontandole tutte, perché è un "discorso ininterrotto" e per raccontare qualsiasi storia è necessario prima o poi recidere il racconto in qualche punto, mentre ogni episodio di Community cerca di tendere all'infinito.

Succederà, è inevitabile. NBC chiuderà il portafogli e deciderà un giorno che lo show ha fatto il suo tempo. A quel punto Dan Harmon dovrà terminare la storia e decidere a sua volta se è possibile finire o meno un racconto senza finirlo (se i "paradigmi della nostra memoria" possono compensare tutto ciò che avrebbe potuto essere come accade in Paradigms of Human Memory, il magnifico clip show nel quale nulla che vediamo è mai accaduto - o forse sì?), o se dare pace ai suoi personaggi chiudendone la parabola.

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